venerdì, 19 aprile, 2024
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Festival internazionale di Almada. Capire e operare per il pubblico di Mario Mattia Giorgetti

Karine De Villers e Mario Brenta in "Orchidee" - regia Pippo Delbono Karine De Villers e Mario Brenta in "Orchidee" - regia Pippo Delbono

Premessa
Joaquim Benite è stato fondatore e direttore per trent'anni del Festival internazionale di Almada/Lisbona, nato da sentimenti d'amore: sia per la propria compagna, l'attrice Teresa Cafeira, sia per una passione verso il teatro d'arte, quale servizio pubblico, sia come intellettuale e creatore di eventi, sia per impegno civile, sociale, verso la comunità in cui viveva, in cui desiderava operare.
I due, Joaquim e Teresa, avevano dato anima e corpo per realizzare il loro sogno: avere una compagnia di attori che operasse per un pubblico da responsabilizzare, coinvolgere nella crescita del sapere e dei sentimenti; realizzare, con determinazione, con coraggio, consapevoli della sofferenza che andavano incontro, un festival che potesse essere vetrina internazionale dell'arte teatrale.
I due, forti del loro amore, ci sono riusciti, perché hanno fatto di tutto. Lei, l'attrice nella compagnia; lei, la signora che si dedica all'accoglienza del pubblico dopo gli spettacoli; lei, la donna che cura prelibati piatti culinari per festeggiare le serate, parlando e sorridendo a tutti. Lui, l'organizzatore di eventi; lui, le pubbliche relazioni con gli ospiti; lui, la cura amorevole verso gli astanti.
Avevano capito che il vero protagonista di un progetto quale è un festival, oltre a buone scelte artistiche, era il pubblico che gravitava lungo il periodo previsto alle rappresentazioni, quel pubblico che si offriva con fedeltà verso chi lo aveva chiamato, coinvolto.
Avevano capito che "fare teatro, organizzare eventi, realizzare spettacoli" significava capire chi avevi davanti, in quale tessuto sociale intendivi incidere, con chi volevi compiere questo "viaggio". Insomma, lavoravano per questo protagonista: il pubblico.

Joaquim Benite

Oggi, in molti festival, i direttori artistici questa filosofia l'hanno abbandonata per dare spazio ad un culto della propria personalità, ad un proprio ego, ricorrendo alla provocazione di certi spettacoli, i cui registi hanno la stessa mentalità, agire per loro stessi con la provocazione, anziché per la formazione di un rapporto costruttivo col pubblico. Questi direttori, perdendo di vista la finalità che deve avere il teatro, vivono per l'affermazione del proprio io. Tradiscono il loro mandato, la loro missione.
Andando per festival, sia italiani che stranieri, è quello che abbiamo percepito ed quello che vogliamo segnalare, solo segnalare, invitando ad una riflessione seria e responsabile coloro che hanno avuto per delega politica questo potere o che hanno ereditato la guida di un festival per altri motivi.
Lavorare per il pubblico significa attirarlo con credibilità umana, richiamandolo alla responsabilità che anch'esso deve avere nello svolgersi dell'atto teatrale, dargli la consapevolezza dei limiti che deve superare, sollecitando la fiducia che deve avere con se stesso, vivere il teatro come "l'arte dell'incontro", della convivenza, dello sviluppo del sapere collettivo.
Amare lo scontro, la provocazione teatrale, non è una buona politica, poiché essi portano la disgregazione di una comunità esistente, partecipante, cioè alla divisione del pubblico; portano il mancato rispetto per chi ha deciso di partecipare all'evento teatrale.
Vedere il pubblico che abbandona la rappresentazione, che torna al botteghino per restituire l'abbonamento, che lancia improperi verso colui che sceglie, che decide, non è un buon risultato. Anzi è una partita persa.

Alcuni spettacoli visti

Ad Almada, nello squarcio di tempo che ci è stato dato e che ci ha consentito di assistere a nove spettacoli su un panorama di trenta, (gli altri saranno seguiti da Rosanna Bocchieri), per quello che ci riguarda, hanno vinto gli attori, mentre le messe in scena, nel loro insieme, sono state mediocri, grazie appunto a quei registi di cui abbiamo accennato sopra, i quali hanno messo in secondo piano la "centralità" dell'attore per fare sfoggio di effetti tecnologici, televisivi, di illuminotecnica, diaboliche trovate che col teatro, per quel teatro che vive per il solido rapporto tra "uomo e uomo", "umano con umano", non hanno niente a che fare. Anzi. Infatti, se per caso, durante una rappresentazione, venisse meno il sostegno della corrente elettrica, potremmo andare tutti a casa, attori compresi, poiché la tessitura dell'evento non è intorno a loro, ma loro sono elementi subordinati ad altri linguaggi non umani. Per fortuna, come reazione a questa sopraffazione di linguaggi non umani, la forza dell'attore, dell'interpretazione, singola e collettiva, ha prevalso, e il pubblico ha apprezzato.
Nello spettacolo di apertura del festival, affidato a "Orchidee" di Pippo Delbono, anche se si tratta di un poetico montaggio polivalente di scene: filmati, pantomime, balletti montati su un tessuto narrativo autoreferenziale col contributo di aforismi, poesie, citazioni, brani di altri autori (William Shakespeare, Cecov, Büchner, Kerouac, Weiss, Mistral, Purple, Sedar, Senghor) ha commosso l'umanità dei suoi undici attori, alcuni portatori di handicap, che si affidano da anni a Delbono, regista, autore, interprete, produttore.
Nello spettacolo, "Testamento" creazione collettiva della compagnia tedesca She She Pop, impegnata in una rilettura del "Re Lear", gli attori, anche se schiavi di lavagne elettroniche, telecamere disseminate in ogni angolo del palco, hanno, comunque, conquistato il pubblico per la loro sincerità, per il loro offrirsi consapevoli di essere dentro una "gabbia".
La giovane compagnia del Teatro Officina, con "Circolo di trasformazione allo specchio" ha proposto una sorte di "lezione teatrale", di quelle in voga già negli anni '90, in cui si invitano gli spettatori a interagire con gli attori con camminate collettive, giochi ripetitivi di espressioni verbali, e, nel frattempo, avanzano con scenette recitate con partecipazione e di buon livello.

Macbeth

Lo spettacolo "Macbeth", di Heiner Müller, a partire da William Shakespeare del regista croato Ivica Buljan, centrato su una violenza fisica troppo esibita, compiaciuta, al limite della sopportazione, ci ha mostrato, invece, nove attori formidabili per capacità interpretative, per resistenza fisica, per credibilità formativa.
Invece, nello spettacolo "Impalpable", tratto da Manuel Puig, degli argentini Ignazio de Santis e Sergio Calvo, le tre attrici scatenate, protagoniste assolute, hanno vinto per duttilità interpretativa su una messa in scena da "cinema muto", o da "comica finale", tante erano le pantomime a loro affidate.
Nello spettacolo "A Pantalone" della Compagnia Meridional, il regista Miguel Seabra si è avvalso dei linguaggi tipici della Commedia dell'Arte per affrontare temi di reale attualità, consegnando agli attori la libertà e creatività di recitare su ritmi, intenzioni, espressività, notevoli.
L'attore Pedro Almendra con il suo monologo "Un figlio del gioco", il cui autore Carlos Té, regia Luisa Pinto, ha galoppato con felice ispirazione l'universo calcistico, ha dimostrato di essere attore eclettico e abile nel stabilire una forte complicità col pubblico che non si stancato di applaudire.
Non ha convinto lo spettacolo "Riunificazione di due cuori" della compagnia Louis Brouillard, regia di Joël Pommerat, che non ha lesinato nel caricare lo spettacolo di troppi effetti sovrastanti e dominanti sugli attori; ai quali, però, il pubblico ai ringraziamenti finali li ha salutati con sostenuti applausi.
Non ci ha convinto, anche perché si tratta di un vero plagio drammaturgico lo spettacolo "Il tempo tutto intero" che si articola in maniera sfacciata sulla struttura di "Zoo di vetro" di Tennessee Williams. Messa in una scena e regia scadente, ma il pubblico si è commosso alle sofferenze della giovane protagonista, riconoscendo agli attori lunghi applausi.
Ma lo spettacolo che ha dominato e commosso il pubblico per la bravura interpretativa di Diego Infante è stato "Ode Maritime" di Alvaro de Campos, eteronomo di Fernando Pessoa, dimostrando ancora una volta quanto il pubblico portoghese sia incline alla poetica delle parole e al rapporto vivo, esclusivo, con l'interprete.

Mario Mattia Giorgetti

"O REGIME DA RACAO": regia di Paco de la Zaranda

"O regime da racao", regia Paco de la Zaranda

Continua il festival di Almada (Lisbona) Portogallo con proposte interessanti e nuove. E' la volta de "O regime da racao": autopsia di una società di Eusebio Calonge, con la regia di Paco de la Zaranda. Interpreti Francisco Sanchez, Gaspar Campuzano, Javier Semprun e Louis Enrique Bustos, con il supporto dell'Ambasciata di Spagna a Lisbona.
La Zaranda è il Teatro Stabile dell'Andalusia. Al Teatro della Scola di Almada, circa 1200 spettatori in un silenzio che si ascolta, attendono l'inizio di quello spettacolo che si presenta con una scena scura, con degli elementi che pendono dal soffitto a scena aperta, luminosi. Tre attori in tuta verde cominciano il do dello spettacolo con una parola "Penso". Un quarto attore pone il tema dell'eutanasia. Sulla scena i tre attori si travestono e comincia quella metaforica sinfonia tra i quattro interpreti con musiche coinvolgenti ed incisive, che raggiungono l'immaginario degli spettatori. Una simulazione scientifica, un simulacro della vita mette in evidenza il "niente", il tutto è a favore del niente. La vita finisce negli ospedali. Vita e morte dialogano in una spirale di morte annunciata.
Il pubblico quasi interamente in piedi, cosa che succede raramente in Italia, ha esultato alla fine dello spettacolo, quando il sipario metaforicamente si e' abbassato.
Come sempre il teatro è maestro di vita anche attraverso spettacoli come questo che affrontano tematiche mondiali come quella della ragione di una società come la nostra.

LA STORIA E' MAESTRA DI VITA
"PENAL DE OCEANA" al Festival di Almada nella regia di Ana Zamora

"Penal de Oceana", regia Ana Zamora. Foto Luana Santos

Sul filo della memoria e dei ricordi "PENAL DE OCEANA" di Maria Joseda Canellada, nella regia di Ana Zamora, è giocata la straordinaria piece che abbiamo seguito nello spazio chiuso di Incrivel Almadense, al Festival di Almada, in Portogallo.
In uno spazio ottagonale con una valigia contenente oggetti di abbigliamento e ricordi di una donna del periodo della guerra civile, in Spagna, che racconta attraverso lettere e ricordi vivi un viaggio nel passato di personaggi coinvolti politicamente nel suddetto periodo con una levità e profondità di un'interpretazione sublime, che ci lascia coinvolti in quella storia recente spagnola dello scorso secolo, facendoci rivivere quel passato emotivamente.
Eva Rufo e Isabel Zamora le due bravissime interpreti, che nel loro essere sottili fisicamente, ma forti in ciò che riescono a trasmettere, ci fanno viaggiare in un sogno ed utopia di un mondo reinterpretato nel presente. Le note di un pianoforte riescono ad essere un tutt'uno con l'interpretazione di due attrici che parlano col pubblico circostante. E' difficile sostenere un'ora e un quarto di monologo dialogato senza momenti di titubanza o cadute di nessun genere.
La regista ispirata al teatro mediovale e rinascimentale con questo spettacolo riesce a dirigere egregiamente il contemporaneo,ponendolo in una simbiosi con il teatro di altri tempi. E' vero, quando c'è un'idea su cui lavorare, una grande stima dell'attore un regista dà il meglio di sè. L'essere donna sensibile e profonda, parliamo della regista, dà allo spettacolo una dimensione particolare ed unica.
Le attrici ripercorrono il passato facendolo rivivere in un presente magari più scialbo e meno valoriale. E' proprio questo che trasmette questa piece, valori e principi, credi ed ideali, sogni ed utopie, che si possono realizzare.
La storia, la memoria sono due fattori fondamentali, ma quel che ci ha molto colpito è stata la generosità di queste due attrici, che hanno saputo comunicare con il pubblico presente, dando testimonianza del quanto sia importante l'altro nella recitazione. Mai momenti di prime donne, ma momenti di straordinaria simbiosi con l'altro, che non ha mai manifestato stanchezza nell'ascolto e che ha interagito con la recitazione.
Quello che è emerso alla fine dalla parte del pubblico che ha applaudito ripetutamente è stato un senso di non aver perso quell'ora di tempo nell'ascolto, ma piacevolmente ha sentito un senso di pienezza di vita.

"Ubu Roi" DI DECLAN DONNELLAN

"Ubu Roi" di Declan Donnellan

Una deliziosa favola del bene sul male di una società e una critica alla borghesia basata sui convenevoli e sulle apparenze, una critica tagliente del mondo vuoto di oggi, questo lo spettacolo del grande Declan Donnellan, "Ubu Roi" di Alfred Jerry.
Una tavola apparecchiata elegantemente, un sofà, una recitazione parlata, sussurrata, basata sulla gestualità ampiamente. Camille Capol, Cecile Le Terme, Cristoph Gregoire, Sylvain Levitte, Bouard, Xavier Boiffier gli straordinari interpreti.

Scenografia sobria ma ricca di elementi semplici e quotidiani, anche provenienti dalle normali cucine casalinghe, che acuiscono la paradossalità della storia, creando un clima altamente surreale. La sensazione dell'inizio dello spettacolo è dell'aspettativa, i due interpreti aspettano gli amici per consumare una cena come tante altre nella vita di tutti i giorni. Un attore riprende con una macchina da presa i dettagli di tutto e segue come un narratore esterno i fatti. Tutto sembra normale, una conversazione piena di luoghi comuni, ma tutto si rovescia all'improvviso in una lotta tra il bene e il male, tra Doctor jeckyl e Mister Hyde. Tutto si capovolge con effetti scenici che coinvolgono anche il pubblico presente, circa mille e trecento persone. Il mistero, l'atmosfera da thriller piace e crea l'aspettativa:un'avventura nell'io di ognuno di noi, un tuffo in quel bambino, che è dentro di noi, come diceva Giovanni Pascoli. Il pubblico è stimolato e curioso di vedere come va a finire. Il tutto è condito da una sottile ironia, da una comicità che nasce dall'accostamento tra il grande e il piccolo, tra il paradosso e il quotidiano.

"Ione" di Euripide, adattato e messo in scena da LUIS MIGUEL CINTRA

"Ione" di Euripide, regia Luis Miguel Cintra

Nello "Ione", una tragedia probabilmente rappresentata nella penultima decade del V sec. a.C., Euripide porta sulla scena, e risolve positivamente, l'eterno dramma dell'uomo alla ricerca di quei vincoli di sangue che né il tempo né le distanze possono rimuovere o spezzare. "Ione", come "Elena", appartengono ai cosidetti "drammi del caso", in cui i destini umani sono affidati non a un provvidenziale intervento divino, ma a un ceco moto d'eventi che ostacolando, mutando e deviando i progetti e le azioni degli uomini fa scaturire dai loro cuori e dalle loro menti una complessa, contraddittoria e molteplice umanità. Quindi la vicenda: un bambino abbandonato in una grotta, una madre tormentata dai rimorsi, un riconoscimento con lieto fine dopo molte peripezie che comprendono un finto riconoscimento, una trama omicida e un tentativo di linciaggio. Lo Ione è il più antico esempio di dramma a intreccio del teatro europeo. Più che una tragedia è una tragicommedia, tutta giocata sugli equivoci dell'identità e percorsa da un'ironia sottile che fa dei suoi personaggi degli eroi minuscoli, incapsulati nel loro inconsapevole gioco delle parti, ma alla fine riscattati dai capricci del destino. Ma nonostante il lieto fine, ciò che emana da questa tragedia dell'estrema maturità di Euripide è un angoscioso senso di debolezza e di precarietà della condizione umana, sottratta sia a un disegno provvidenziale divino sia al dominio della ragione. Un finale propiziato dal caso, che coinvolge tutti i personaggi: Ione, il Coro delle serve di Creusa, Creusa, Xuto, il Vecchio, il Servo di Creusa, la Pizia e gli dei chiamati Ermes e Atena e l'evocato Apollo. Ogni fatto dimostra, tragicamente, come l'uomo sia "pupazzo" in balia di un destino a cui gli stessi dei possono solo assistere.
Nello adattamento del regista Luis Miguel Cintra le riflessioni conducono lo spettacolo e due idee che sono il fulcro dell'intrigo: la bontà della ragione e le bugie che sono principi del male. Alla base di tutto c'è la consapevolezza che mettere in scena i testi antichi ci aiuta a capire il presente sia dal punto di vista politico che umano.
L'adattamento di Cintra che vede anche altri autori citati fra cui Pier Paolo Pasolini. e la modernizzazione dei testi antichi difficilmente riescono a convincere pienamente, ma sono sempre tentativi di rivisitazione e interpretazioni, di cui si apprezza lo sforzo.
Bravi gli interpreti, Guitherme Gomes, Joao Gross, Josè Mendes, Luis Lima Barreto, Luis Miguel Cintra e Luisa Cruz. La scenografia e i costumi sono di Cristina Reis.
E' una coproduzione della Compagnia Cornucopia con il Teatro Municipale San Luiz, in occasione dei quaranta anni di attività.
Le note del fado introducono la tragedia e il narratore, che leggendo ci conduce nella storia. Questa viene interpretata in un altro spazio quasi come una sorta di feed back. Lo spettacolo è stato rappresentato al Teatro Municipale Joaquim Benite di Almada.

"Arraial de luxe", uno spettacolo di EUGENIO BARBA

"Arraial de luxe", uno spettacolo di EUGENIO BARBA

Con "Arraial de luxe" della Compagnia Circolando nello spazio del Teatro della Scuola al Festival di Almada, si conclude la nosta permanenza ad Almada ed in Portogallo.
Un interessante teatro-danza "Arraial De luxe" uno spettacolo alla Eugenio Barba, con eccellenti danzatori e buona musica. Abbiamo rilevato l'importanza nei fastival di comprendere uno spettacolo di danza,oltre a quelli di prosa, in quanto questi parlano a tutti e superano le barriere della lingua.
Un'ora e mezzo di spettacolo intenso, che ha coinvolto gli spettatori presenti invitati dai danzatori sulla scena. Esperimento interessante quello del coinvolgimento del pubblico, che abbatte il muro che si crea tra palcoscenico e pubblico. Una sorta di teatro circo, acrobati sulla scena, che hanno stimolato tutti noi e ci hanno coinvolto.
Danzatori eccezionali Afrika Ferrin, Ainoha Vidal, Mafalda Saloio. Ptrick Murys, Paulo Mota, Ricardo Machado, Ricardo Vas Trinidade, Romulus Neagu. Veramente brava la banda Dead Combo. "Arraial De luxe" è stato diretto egregiamente da Andre' Braga e Madalena Victorino. La drammaturgia è di Claudia Figuereido.
Dal teatro culturale, al teatro di strada, alla musica nell'Esplenada, che ci ha regalato le canzoni della malavita della Bottega di Figaro,musica popolare italiana, con canzoni di Ornella Vanoni, Nanni Svampa, e Gabriella Ferri e altre, facendoci fare un tuffo nella nostra amata iIalia. Tra i diversi generi che abbiamo rilevato al Festival, le canzoni sono state molto apprezzate dal vario pubblico presente.
Quello che abbiamo notato in questo Festival è stato il tentativo di svecchiare la scena con interpretazioni di giovani, e la qualità della scelta degli spettacoli. Più che i registi, siamo stati colpiti dalle interpretazioni degli attori.

Rosanna Bocchieri

Ultima modifica il Venerdì, 18 Luglio 2014 14:51

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