Napoli velata
Regia: Ferzan Özpetek
Sceneggiatura: Ferzan Özpetek, Gianni Romoli, Valia Santella
Interpreti: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra,
Biagio Forestieri, Lina Sastri, Isabella Ferrari, Luisa Ranieri,
Maria Pia Calzone, Loredana Cannata, Carmine Recano, Angela Pagano
Prod. Italia 2017
UN FILM "FATTO" DA ATTORI (TEATRALI)
I perfidi inganni "Napoli velata" di F. Ozpetek
Proprio perché accade raramente, è giusto scriverlo a chiare lettere. Scrivere che uno dei film di maggior successo (più di pubblico che di critica ) ancora vivo e vegeto nelle sale italiane- "Napoli velata" di Ferzen Ozpetek- "è" innanzi tutto un film di attori, e di attori teatrali in particolare. Ai quali, e ovviamente, non mancano armonie, sinergie, perfetti 'incastri' espressivi con altre, basilari componenti dell'opera, essenzialmente centrata sulla (perfida?) seduzione iconografica e su una ambientazione (partenopea) meno invasiva e imprescindibile di quanto si pensasse alla veloce visione dei trailers.
Chi sono dunque gli interpreti che "fanno" (da artisti-artigiani-strumenti di volto e di voce) il film di Ozpetek? Innanzi tutto Giovanna Mezzogiorno che, nel ruolo di Adriana, sembra raccogliere il 'testimone' dall'ultima, fantasmatica sequenza (finale aperto a tante letture) de "La tenerezza", ultimo lavoro di Gianni Amelio -protagonista l'eccellente Renato Carpentieri, anch'egli presenza fondante dei Teatri Uniti di Martone- che consente alla Mezzogiorno di imbibirsi di un'anima vesuviana, peraltro "già sua" per genomi paterni (Vittorio, morto troppo presto, era nato a Cernola) e costanti frequentazioni giovanili, alle prime esperienze di attrice teatrale. Cesellando, con l' elaborazione dell' ennesimo' lutto che le si scava negli occhi, una inedita, moderna effige della mater- donna- figlia dolorosa di stremata, ma non passiva caparbietà mediterranea.
E, a pari merito, l'irripetible Peppe Barra che in "Napoli velata" è l'equivalente del veggente, del narratore, del nume 'terragno e sensitivo' per quel ruolo di aedo- tutelare che lo condurrà a misterica morte (sacrificale?).
Sostanziale inoltre il contributo di Lina Sastri e Isabella Ferrari che interpretano. affabilmente crudeli nella 'convenzionale' eleganza di due ipocrite alto-borgesi- le collezioniste d'arte Ludovica e Valeria, congiunte da "arcani" patti saffici e con alcuni sintomi di tendenza omicida, necessari all'economia e alle ipotesi narrative di Ozpetek, disciplinate verso l'ambiguità di un epilogo che "può dire –per la protagonista- sparizione volontaria dalla storia" o sparizione dai miraggi (allucinogeni?) da cui essa fu generata.
Ultima ma non ultima, la superlativa Anna Bonaiuto, che di mille poetiche napoletane è stata musa giovanile ("L'amore molesto") e di età matura (il suo lungo sodalizio con Mario Martone), qui nel ruolo della sinuosa zia di Adriana "cui basta accennare qualche movimento su una musica perduta e ritrovata per portarci via" lontano e verso traumatiche esperienze di iniziazione alla vita, al dolore, ai suoi segreti indicibili.
Quanto alla tessitura, alla narrazione del film – non inedita per chi ben ricorda opere quali "Giulia e Giulia", "Fantasma d'amore", La doppia ora" e quel piccolo diadema di Ozon che è "Sotto la sabbia"- dalle parti di un innamoramento perduto e impossibile. Di una notte di sano eros lacerata dalla sparizione e riapparizione 'psicotica' dell'oggetto d'amore (un ragazzo senza nome, forse arruolato dai sottoboschi della malavita) che si nega e si concede a una 'matura-ragazza' (Adriana) il cui lavoro di medico legale (ed anatomopatologo) è duetto spossante, quotidiano con lacerti di vita che, di sovente, portano i connotati della brutalità e dello strazio corporale.
Che la scabra essenza dell'umana avventura abbia per ambientazione Napoli (o Costantinopoli, come nel precedente film di Ozpetek) è elemento sussidiario, coloristico, non sostanziale alla struttura di un film cui fanno difetto alcuni cedimenti ('paniche vibrazioni') alla seduzione ambientale (vicoli, cortili, labirinti segreti-opposti alle scenografie hi-tech degli interni borghesi) e l'esibizione virtuosistica di una elaborazione fotografica dispiegata su turgide cromature e mille (non torbide o illanguidite) sfumature di blu.
Essendogli invece di rinfianco i temi (ricorrenti) 'della perdita, dell'abbandono e dell'incontro, destabilizzante' che- sin da "Le fate ignoranti", "La finestra di fronte" "Cuore sacro" - sono martellanti, ma (direi) sincere ossessioni nell'opera del discontinuo, divisivo autore cui stava stretta la Turchia, ma – come tenne a dire - "adottato da Roma e dal quartiere Ostiense". Buon per lui. Ozioso assecondare chi lo stima e chi no.
Angelo Pizzuto