di Rupert Everett
con Rupert Everett, Colin Firth, Colin Morgan,
Edwin Thomas, Emily Watson, Tom Wilkinson
Italia, Belgio, Germania, Gran Bretagna, 2018
The Happy Prince: il tormento di un genio tra angeli e demoni
Oscar Wilde è uno degli autori più affascinanti di sempre. Oltre alla bellezza delle sue opere è come nato un mito intorno alla sua figura misteriosa ed eccentrica. Non è certamente facile cimentarsi nel raccontare una figura di questo tipo, Rupert Everett ci prova mettendosi per la prima volta dietro la macchina da presa e al contempo vestendo i panni del grande scrittore, a cui è da sempre devoto. Il film è incentrato sugli ultimi drammatici anni di vita di Oscar Wilde, e sulle sofferenze che ha patito per essersi macchiato di quella che agli occhi dell'alta britannica borghesia (categoria da lui sempre derisa) è una grave colpa: l'omosessualità. Dopo essere stato processato e condannato al massimo della pena per sodomia, viene incarcerato e obbligato ai lavori forzati per due anni, ridotto in condizioni bestiali. Da questo limbo scrive la sua celebre lettera all'amante Alfred Douglas, intitolata De Profundis. Dopo essere stato liberato tenta di ricominciare una vita nuova a Parigi, con il supporto di alcuni dei suoi più cari amici. Ma le malelingue sono difficili da fermare e come un virus si propagano arrivando ovunque.
Il titolo The Happy Prince cita l'omonima opera di Oscar Wilde (Il principe felice e altri racconti), fiaba il cui racconto nel film assume una funzione strutturante, ritornando come un leitmotiv e fungendo da elemento unificante. Inoltre genera alcuni dei momenti più poetici del film. Infatti questa potente metafora i cui personaggi sono il principe felice e la rondine evoca forse la propensione dell'autore a guardare con attenzione ciò che lo circonda e in particolare le sofferenze degli ultimi, a cui tramite questa fiaba simbolicamente presta il suo soccorso e regala le sue ricchezze. Ma alla fine arriva la morte. Gli esseri umani distruggono qualunque cosa abbia valore, ma fortunatamente c'è una dimensione spirituale in cui l'armonia viene ristabilita. La fotografia è curatissima, cupa ed evocante i quadri di Toulouse-Lautrec. Non viene tralasciato nulla al caso. Rupert Everett interpreta un Oscar Wilde molto sopra le righe: eccessivo, goffo, fisicamente non attraente, con una marcata espressività alle volte fastidiosa. Certo è comunque un'interpretazione profonda e sentita, che mantiene un alto livello di intensità, e non risulta ridicola, anche se in alcuni momenti il pericolo è presente. Rupert Everett è affiancato da una serie di attori di buon livello, fra cui spicca il giovane Colin Morgan nel ruolo di Alfred Douglas, detto Bosie, l'amante narcisista e seducente di Oscar Wilde, che è stato in gran parte la ragione delle sue disgrazie. Bosie ha le fattezze di un personaggio viscontiano, del Tadzio di Morte a Venezia, dalla bellezza aurea ed angelica, perfetta come quella di un dio greco. Ma è inaffidabile ed egoista, incapace di amare fino in fondo l'altro. C'è molto di Visconti nelle scene ambientate a Napoli che vedono insieme Wilde e Bosie.
Non altrettanto riuscito è il personaggio della moglie di Oscar, Constance Wilde. Nonostante la sua bravura, anche qui dimostrata, la scelta di Emily Watson è fuori luogo per ridare vita a una giovane donna, che sfortunatamente morì a soli 40 anni, dal carattere molto forte, innamorata del marito e pronta a perdonarlo, ma anche capace di combattere in modo appassionato per gli ideali femministi. Aveva un'ottima cultura e si dedicava al mestiere del giornalismo. Nel film questa sua vitalità ed eccezionalità non traspare.
The Happy Prince è un ritratto crudo e raccapricciante di un Oscar Wilde ormai abbandonato al proprio degrado, sprofondato in una voragine infernale in cui si aggira goffamente come un lebbroso. Tra le vie dei Boulevards parigini è uno sciagurato tra tanti, prospettiva comunque migliore che essere un ospite indesiderato ed aggredito. Gli rimangono solo quei pochi momenti purpurei con un giovane che gli chiede in cambio dei soldi e delle dolci parentesi di tempo dedicate alla narrazione della fiaba del Principe felice ad un bambino, a cui rivolge quell'affetto che non può più dare ai suoi figli.
Anche se mai citata il fantasma della sua opera più celebre Il ritratto di Dorian Gray è continuamente presente. Sembrano condividere uno stesso tragico destino l'autore e il suo personaggio di finzione, come se uno fosse il riflesso dell'altro. In fondo è stata la sua vita lussuriosa a condurre Oscar Wilde a questa oscurità. Si è lasciato andare a una spirale di vizi e dipendenze, anche perché l'Amore, che per lui è tutto ciò che conta, nella sua visione coincide con l'autodistruzione. Oscar è il peggior nemico di sé stesso, è cosciente dei suoi sbagli ma non può farne a meno. Ciò che non tutti sanno è che sotto la superficie del suo cinismo, nutre sentimenti cattolici, che in punto di morte tornano dirompenti a ossessionarlo. Un percorso interiore dall'inferno al paradiso e al ricongiungimento con Dio.
The Happy Prince è segnato da un approccio fortemente realista, che non esclude però il sovrapporsi di scene di natura onirica, e un mescolarsi in alcuni brevi momenti tra la dimensione della realtà e quella del sogno. La narrazione non è lineare ma basata su continue analessi e sull'alternanza presente-passato.
Il film pecca di una retorica eccessiva: Rupert Everett sembra sottolineare in modo troppo evidente la sua denuncia alla società (sia a quella di un tempo sia di oggi), per motivi probabilmente anche di natura personale, non dando abbastanza rilevanza concettuale ad altri elementi narrativi. Inoltre l'atmosfera cupa e claustrofobica si rivela soffocante per lo spettatore, e non aiuta un film che nonostante le potenzialità della trama ha problemi ad emozionare profondamente.
Corinne Vosa