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(CINEMA) - "Dopo la guerra" di Annarita Zambrano. - La disumana desolazione del terrorismo

"Dopo la guerra" di Annarita Zambrano "Dopo la guerra" di Annarita Zambrano

Dopo la guerra
di Annarita Zambrano
Con Giuseppe Battiston, Barbora Bobulova, Charlotte Cétaire, 
Fabrizio Ferracane, Elisabetta Piccolomini
Francia - Italia 2017

La disumana desolazione del terrorismo

Nel 2002 il giuslavorista Marini (Ermanno Casari), convinto assertore della revisione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, dopo una forte contestazione da parte dei suoi studenti, all'uscita dall'Università di Bologna viene ucciso da un ragazzo (Matteo Ali) coperto da un casco. L'omicidio viene rivendicato dal Movimento di Azione Rivoluzionaria, una formazione terroristica di sinistra, attiva negli anni di piombo, uno dei cui fondatori – Marco Lamberti (Battiston) – è da tempo rifugiato a Parigi; l'attentato però, fa decidere il governo francese (che vent'anni prima, con Mitterand, aveva concesso asilo a molti terroristi) a rivedere le proprie posizioni e a concederne l'estradizione (lui in Italia era stato condannato all'ergastolo per l'uccisione di un giudice). Lamberti va a prendere la figlia Viola (Cétaire) durante una partita di palla a volo e, mettendole in uno zaino alla rinfusa indumenti presi a caso, scappa con lei in una casa abbandonata di campagna. In un officina nelle vicinanze va da Jerome (Jean-Marc Barr), un ex-compagno che si impegna a procurargli i passaporti falsi ed un imbarco per il Sud America, qui Viola conosce un ragazzo, Mathias (Cyann Lalot), con il quale scambia qualche parola, suscitando una reazione allarmata nel padre. Intanto, in Italia Anna (Boboulova), la sorella di Marco, insegnante di Lettere e moglie del magistrato di sinistra Riccardo (Ferracane), subisce varie conseguenze di questa situazione: la madre, Teresa (Piccolomini) deve trasferirsi da lei perché le arrivano anonime telefonate e ingiunzioni minacciose; il marito, che sta per essere promosso Procuratore Generale, deve rinunciare, a causa dell'imbarazzante parentela; la loro figlioletta Bianca (Carolina Lanzoni), che avverte il clima pesante in casa, durante un saggio di ginnastica dà una spintone a un'amichetta; lei stessa viene "convinta" dal Preside a prendere tre mesi di aspettativa. Viola – che ha continui scontri con il padre che sente incomprensivo e concentrato solo sui propri problemi – in un emporio trova una rivista che ospita un lungo articolo sul padre dal quale apprende del suo omicidio. Da una successiva intervista con una giornalista di sinistra, Marianna (Marilyne Canto), oltre a venire a sapere che il fratello più giovane del padre era morto accanto a lui in uno scontro armato con la polizia, sente come Marco si consideri un esule che ha perso la guerra, senza alcun pentimento e alcuna compassione per quanti hanno sofferto per le sue azioni (come il bambino di otto anni del giudice ucciso che era con il papà mentre Marco lo assassinava). Da Marianne sa – il padre glielo aveva nascosto – che stanno per partire per il Sud America, per restarvi per sempre; sconvolta, scappa di notte ma, all'alba, sola e disperata, fa ritorno. Il giorno prima della partenza Viola va a prendere i documenti da Jerome ma, prima di rientrare, va ad una festa in spiaggia con Mathias. Il padre la trova e, quando lei gli dice di aver lasciato lo zaino con i passaporti, si infuria; lo cercano disperatamente e, alla fine, lo trovano ma....
Sono passati vent'anni dal film d'esordio di Marco Turco Vite sospese che, per la prima volta, affrontava il tema dei terroristi italiani rifugiati in Francia e si vede: non solo nel 1998 la legge Mitterand era in pieno vigore ma l'approccio era assai diverso: aleggiava in quel film una sorta di comprensione e di vicinanza con quel milieu che non appartiene alla pur gauchiste Zambrano, anche lei esordiente nel lungometraggio con alle spalle un bel palmarès di premi per i suoi precedenti corti e documentari (Tre ore, A' la lune montante, L'anima del Gattopardo). Dopo la guerra, scelto dai selezionatori della sezione Un certain regard, sceglie di non entrare nel merito ideologico delle vicende – i richiami al delitto Biagi e, forse, alle vicende del brigatista Persichetti sono appena un punto fermo per far iniziare il racconto – ma di raccontare della devastazione che scelte estreme possono portare nelle vite di altri ed il tema è svolto con tale partecipazione da travalicare l'argomento terrorismo per entrare nel discorso ben più universale del dramma di ciascuno di fronte all'insondabile enormità di gesti definitivi che non ha voluto, né praticato. Battiston, per una volta lontano dagli schemi del grasso simpatico ed imbranato, è efficacissimo nel rendere palese come le spigolosità egocentriche e tragicamente infantili – nutrite di slogan vacui e di banalità da ciclostile studentesco - di Marco deflagrino tragicamente nelle vite di chiunque gli sia vicino; notevole la prova della Boboulova ma soprattutto è da segnalare la dolorosa adolescenza dell'esordiente Cétaire. Questi risultati sono dovuti in gran parte anche alla solida mano di regia della Zambrano, che ha potuto contare per il suo esordio, oltre alla maggioritaria produzione francese, sulla bella qualità produttiva della Movimento di Mario Mazzarotto, uno dei pochi produttori italiani di opere d'impegno culturale (tra i recenti: Banat, A Blast, Redemption song) che sappiano scegliere titoli sempre interessanti e portarli a termine con vero, solido mestiere. Fa piacere, nel consigliare il film non facile ma coinvolgente, poter sottolineare anche la qualità della produzione, in un panorama critico che – miopemente – si ferma a valutare dei film autore e contenuti: nel cinema la produzione e l'uso intelligente dei fondi sono parte creativa alla pari di tutte le altre componenti poetiche e spesso – anche nel legiferare – ci se ne dimentica.

Antonio Ferraro

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Maggio 2018 09:44

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