Jojo Rabbit
di Taika Waititi
Con Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi,
Rebel Wilson, Sam Rockwell
Germania 2019
Facciamo che tu eri Hitler
Germania 1945, verso la fine della guerra. Johannes Betzler (Griffin Davis) detto Jojo è un bambino di dieci anni fragile ed emotivo (non è ancora capace di allacciarsi le scarpe); il padre è disperso (forse disertore) in Italia e 3 anni prima è morta sua sorella maggiore. Quando viene convocato, insieme al suo migliore amico Yorki (Archie Yates), per la sua prima riunione di addestramento militare della gioventù hitleriana è fiero ma pieno di paure e la madre Rosie (Scarlett Johansson), come fa sempre, lo incoraggia. Il campo è agli ordini del capitano Klenzendorf (Rockwell), che è coadiuvato dal bel tenente Finkel (Alfie Allen) – tra loro due c’è, segretamente, del tenero – e dalla fanatica nazista Fraulen Rahm (Wilson). Jojo è un bel po’ imbranato e la sera in tenda racconta a Yoki di sentire un grande affetto per Hitler (Waititi), a cui, nelle vesti di amico immaginario, si rivolge sempre per consigli e consolazione. L’indomani mattina gli istruttori Christoph (Luke Brandon Field) e Hans (Sam Haygart) gli danno un coniglio e gli ordinano di ucciderlo, lui non ce la fa e scappa nel bosco piangendo, tra lo scherno di tutti che lo chiamano “Jojo rabbit”. Sotto un albero lo raggiunge l’amico Hitler che lo incita a mostrare il suo coraggio di piccolo nazista; il ragazzino, seguito da un saltellante fuhrer, corre indietro, strappa una bomba a mano al capitano e si precipita a lanciarla ma colpisce una albero e si ferisce seriamente al viso e ad una gamba. Ora è a casa convalescente, claudicante e con delle piccole cicatrici in faccia, per le quali lui si sente mostruoso. La madre lo rassicura e lo porta da Klenzerdorf, al quale con un calcio e un ceffone impone di dare delle mansioni al figlio per farlo sentire utile; Jojo viene così incaricato di attaccare manifestini, consegnare lettere di reclutamento e di raccogliere residui di metallo per l’esercito. Un giorno, a casa da solo, sente dei rumori che provengono dalla stanza della sorella morta e scopre una ragazza ebrea, Elsa Korr (McKenzie), che la madre sta nascondendo; lui, pieno di tutti i racconti della propaganda nazista, cerca di capire dove – secondo quando sosteneva la Rahm – nasconda le corna e la pelle squamata. Li per lì minaccia di consegnarla alla Gestapo ma lei gli obietta che così condannerebbe anche la madre e se stesso per averla ospitata; poi lo convince, spaventandolo, a non dire alla madre di averla scoperta. Ora sì che Jojo ha da chiacchierare con il suo amico Hitler e con lui concerta che la userà per scrivere un libro sugli ebrei che lo farà apparire un eroe agli occhi del capitano. Lei, che ha capito che è solo un bravo ragazzino confuso, si diverte a inventargli storie fantastiche sugli ebrei (che leggono nel pensiero, dormono appesi al soffitto, svolazzano in giro in cerca di prede); gli racconta anche di avere un fidanzato, Nathan, con il quale fuggirà a Parigi. Lui, geloso, inventa una lettera con la quale Nathan la lascia ma, quando lei scoppia in lacrime (in realtà il ragazzo era morto un anno prima), ne improvvisa subito un’altra nella quale Nathan si scusa e le dichiara rinnovato amore. Un giorno, uscendo per i suoi giri di propaganda, Jojo vede che la madre lascia in giro messaggi antinazisti e, al comando, trova il capitano che, mano nella mano con Finkel, mostra fiero il disegno di una divisa militare frou-frou che, a suo dire, rafforzerebbe l’animo dei combattenti. Poco dopo arriva a casa il comandante Deerz (Stephen Merchant) che, con un manipolo di uomini (Joe Weintraub, Brian Caspe, Gabriel Andrews, Billy Rainer e Rober East) comincia a frugare dappertutto, Elsa si finge Inga, la sorella morta, e alla richiesta di documenti dà la carta di identità a Klenzerdorf, che li ha raggiunti; quando le chiedono la data di nascita, lei sbaglia il giorno ma il capitano non obietta, anzi convince Deerz ad andarsene. La ragazza però capisce che – anche se Klezendorf la ha aiutata - basterà un semplice controllo perché la Gestapo si accorga dello scambio e torni a prenderla. Jojo cerca di farle forza ma quando esce trova il corpo della madre impiccata in piazza con i traditori; disperato dà la colpa a Else e cerca goffamente di pugnalarla, per poi piangere abbracciato a lei. L’indomani incontra Yorki, arruolato appena undicenne, che – dopo aver fatto esplodere per sbaglio un negozio con l’enorme bazooka che gli avevano dato in dotazione – gli comunica che Hitler è morto. Si combatte per le via della città, arrivano anche il capitano e Finkel nelle loro buffe divise, mentre la Rahm – prima di essere colpita da una granata – sempre fanaticamente nazista arma i bambini e mette una giacca militare a Jojo. Gli alleati lo portano in un campo di prigionia, qui c’è anche Klezendorf, che gli strappa la divisa e lo salva – sacrificando la propria vita - gridandogli “Ebreo!”. A casa, Jojo chiude i conti con l’amico immaginario, buttandolo dalla finestra con un calcione e – dopo averle detto che la Germania ha vinto la guerra per tenerla con se – porta fuori Elsa che, rendendosi conto della bella verità, prima gli dà uno schiaffo per lo spavento che le ha fatto prendere e, poi, in ricordo di Rosie (che amava tanto danzare), balla felice con lui in strada.
Taika Waititi è noto al grande pubblico per essere il regista di Thor: Ragnarock, il terzo con protagonista il Dio del Tuono Marvel, ma nel suo paese natale, La Nuova Zelanda, era un comico ed un regista di successo (il suo Boy era stato il maggior incasso della storia del cinema neozelandese). Jojo Rabbit - tratto dal romanzo di Christine Leunens Come semi d’autunno che ha partecipato anche alla sceneggiatura – è molto simile alle sue prime opere: divertente con tratti di asprezza e con teneri richiami ad un’infanzia problematica. Il rischio della trasposizione – soprattutto in questi grami tempi di piatto politacally correct – di un racconto scherzoso sul nazismo è sempre quello di urtare qualche sensibilità. Poche opere – il predicatorio Il grande dittatore di Chaplin, lo splendido Vogliamo vivere di Lubitsch, il suo divertente remake Essere o non essere di Brooks e il poetico Train de vie di Mihaileanu – sono state universalmente accettate (lo stesso La vita è bella di Benigni ha avuto, oltre all’Oscar, forti critiche). A Waititi l’operazione sembra riuscita: forse anche per merito dell’origine letteraria (in qualche modo nobilitante) ma certamente per la bella mano di regia e per la scelta e la direzione del cast: il ragazzino protagonista funziona benissimo (né gli è da meno il grassottello Archie Yates/Yorki), Rockwell dà – dopo l’Oscar per Tre manifesti a Ebbing, Missouri – una bella prova, la Johansson è convincente e partecipe, Rebel Wilson si conferma comica di razza e l’Hitler di Waititi è la perfetta personificazione di un fuhrer capriccioso e giuggiolone come lo vedrebbe, appunto, un bambino sensibile e confuso. La colonna sonora, infine, prosegue la voga (vedi il turbinoso esempio di Moulin Rouge) di sottolineare le azioni con brani assolutamente anacronistici rispetto alle vicende ma di grande impatto: si va dai titoli di testa con I want to hold your hand dei Beatles in versione tedesca (Komm, gib mir deine Hand), passando per i pertinenti I don’t want to grow up di Tom Waits e Mama di Roy Orbison, per arrivare, nel finale, ad Heroes di David Bowie, cantata in inglese dai Ten Tenors e in tedesco (Helden) dall’autore. Sembra un piccolo contributo ma nella poetica di un film tenero e garbato come questo, quelle musiche dànno una bella spinta emotiva.
Antonio Ferraro