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CORE MIO - coreografia Brunella Macchiarella

"Core Mio", coreografia Brunella Macchiarella "Core Mio", coreografia Brunella Macchiarella

testi di Antonin Artaud e Brunella Macchiarella
con Katia Basile, Maria Pia Bilardo, Barbara Caruso, Anna Clementi, Giusi D’Argenio, Dora Fazio, Noemi Fiorentino, Francesca Furnari, Marta Liotta, Brunella Macchiarella, Maria Grazia Milioti, Giovanna Miloro, Federica Munafò, Daniela Orlando, Giusi Piccione, Marilina Santoro
coreografie e movimenti scenici Brunella Macchiarella
progetto scenico e video-musicale Giuseppe Crupi
voci fuori campo Giuseppe Crupi, Daniela Orlando, Donatella Venuti
produzione Compagnia delle Arti Visive
Palazzo della cultura - Messina 14 dicembre 2024 

www.Sipario.it, 18 dicembre 2024

Ispirato alle testimonianze raccolte da Riccardo Iacona in “Se questi sono gli uomini” e al monologo “Lo stupro” di Franca Rame, lo spettacolo “Core mio” della Compagnia delle Arti Visive offre un significativo spaccato dell’inferno dentro cui sono relegate le donne vittime di maltrattamenti. E lo fa attraverso il linguaggio della danza, quello del teatro, della multimedialità: una combinazione che va incontro alle sensibilità contemporanee e che esplora universi paralleli a quello, così largamente sondato peraltro, della parola.

Il progetto scenico e video-musicale è di Giuseppe Crupi, i testi di Antonin Artaud e Brunella Macchiarella, le coreografie e i movimenti scenici sono di Brunella Macchiarella, le voci fuori campo di Giuseppe Crupi, Daniela Orlando e Donatella Venuti. 

Protagoniste sedici donne (Katia Basile, Maria Pia Bilardo, Barbara Caruso, Anna Clementi, Giusi D’Argenio, Dora Fazio, Noemi Fiorentino, Francesca Furnari, Marta Liotta, Brunella Macchiarella, Maria Grazia Milioti, Giovanna Miloro, Federica Munafò, Daniela Orlando, Giusi Piccione, Marilina Santoro), coralmente capaci di comporre il mosaico di un dramma che a teatro esclude il colpevole, benché lo condanni in absentia, dopo averne sprigionato l’afrore.

Sono storie diverse, vite diverse. E hanno i colori diversi dei costumi di scena che a volte appaiano, altre disgiungono. Ché è tutto un pericoloso gioco di corpi che si approssimano l’un l’altro, che si sfiorano, si toccano, si scontrano. Fino all’insinuarsi della violenza, che prima o poi deflagra. 

Sono donne che talora restano impigliate nella peggiore realtà, quella dentro la quale non potranno mai dirsi salve. Una sedia nel video, una sulla scena a intrappolarle. A condannarle.

Tra il rosso e nero degli abiti, ogni tanto si insinua il bianco, a richiamare la purezza, il disarmo. Quindi dolcemente si mescolano le tinte pastello, per danzare insieme, spezzare le paure e ricomporre l’incanto dei momenti che la violenza non può sempre inquinare.

Sono coreografie che molto puntano sulla reciprocità dei ruoli, sul vicendevole passaggio negli spazi di un labirinto che è per tutte le danzatrici, per tutte le donne uguale.

All’andamento sinuoso in certi passaggi si intervallano le pose più sorvegliate, più innaturali, quasi a scatto. Dimostrano, nella piena evidenza del complesso legame tra azione motoria e stati d’animo, la sovra stimolazione del corpo generata dal sistema nervoso.

Al netto delle voci fuoricampo, che comunque non interrompono il filo narrativo delle azioni sceniche, piuttosto scortandole, senza alcuna pretesa d’essere didascaliche, tutto si compie in quel non luogo che sa diventare all’occorrenza il teatro. In un’atmosfera surreale che ha il pregio di effigiare la realtà col conforto della poesia. 

Al dramma della violenza di genere, al di là della cronaca vera e propria, che pure rimbalza sullo spettatore per mezzo di nomi e date sul fondale, si giunge per gradi. Si imbastisce dapprima quella fitta trama di abusi e sopraffazioni, poi si lascia finanche intravedere un orizzonte di salvezza possibile, poi ancora tutto si lascia andare a male.

Attraverso la danza, e un repertorio musicale di gran pregio nel quale svetta la voce declamatoria del grande Piero Ciampi, si delinea l’intero triste quadro della violenza che culmina nel femminicidio. Quando i colori si sono già esauriti. Quando tutto è brutalmente ridotto alle due estremità dell’agire umano: il bianco e il nero. 

Nei silenzi e nell’indifferenza di un mondo che attraversa le vite degli altri e non vi si sofferma mai.

“Core mio” pone decisamente l’accento sulla somiglianza delle storie, sul ruolo della donna attraverso gli stereotipi di genere che la ritraggono come perfetta custode del focolare. Alle spalle della quale, tra una faccenda domestica e l’altra, ci sono ancora bambine desiderose di compiere la loro scalata al cielo. Nella precarietà, nella sgretolabilità della struttura.

Le sedici donne partecipano dunque emotivamente al dramma solo all’apparenza di una soltanto. Giacché, in linea alla dimensione corale di questo teatro danza cui la compagnia affida il compito di veicolare contenuti attuali, e in tal caso spinosi, ogni tragedia è destinata a quell’universalità che la rende ancora più tragedia.

Così che quando i corpi si accasciano e si ammassano si abbia l’idea di quanto alto sia il numero delle vittime. Prima di chiudere gli occhi. Prima di attendere l’ultima coreografia: quella della rinascita. E di una salvezza ancora possibile.

Giusi Arimatea

Ultima modifica il Venerdì, 27 Dicembre 2024 09:26

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