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INK – coreografia Dimitris Papaioannou

"Ink", coreografia Dimitris Papaioannou. Foto Julian Mommert "Ink", coreografia Dimitris Papaioannou. Foto Julian Mommert

Creazione di Dimitris Papaioannou
Con Šuka Horn e Dimitris Papaioannou.

Scene e costumi: Dimitris Papaioannou. Luci: Stephanos Droussiotis e Dimitris Papaioannou. Sound design: David Blouin.
Musiche: Antonio Vivaldi, Donald Novis, Isham Jones, Sofia Vempo, Leo Rapitis.
Produttore creativo-esecutivo e assistente alla regia: Tina Papanikolaou. Regista assistente: Stephanos Droussiotis.
Prima assoluta, esclusiva italiana.
Torino, Torinodanza Festival, Teatro Carignano, 22-23 settembre 2020

www.Sipario.it, 24 settembre 2020

Il racconto peculiare, ermetico e atavico di INK, la nuova creazione di Dimitris Papaioannou

“Ci deve essere una qualche sostanza, o una o più di una, da cui le altre cose vengono all’esistenza. Talete dice che è l’acqua: egli ha tratto forse tale supposizione vedendo che il nutrimento di tutte le cose è l’umido”: sono queste le osservazioni aristoteliche sull’opinione di quel primo filosofo della storia noto con il nome di Talete. Un elemento materiale e concreto, l’acqua, che in questo segmento della storia della filosofia è principio totalizzante capace di vivificare e unificare il cosmo: materia vivente sperimentabile, dunque, nonché umido originario.
Richiamare tale primigenia forma di ilozoismo panteistico appare, per chi scrive, una premessa pressoché ineludibile per leggere, captare ed interpretare il nuovo e peculiare progetto firmato dal noto coreografo greco Dimitris Papaioannou e creato specificamente per la nuova edizione di Torinodanza e del Festival Aperto di Reggio Emilia.
Una creazione dal titolo INK che è un’installazione site specific integralmente immaginata e modulata in un gioco dinamico e in un reiterato ricorso alla materia primaria che per Papaioannou, quasi come per Talete, è, per l’appunto, l’acqua. Un’azione scenica delimitata da pareti di nylon che all’acqua e al suono prodotto dai sistemi d’irrigazione affida lo snodo cardinale di un racconto peculiare, ermetico, atavico.
Parafrasando implicitamente il primo filosofo Papaioannou ricorre all’acquoso principio primordiale per proporre e tentare di illustrare plurimi sentieri, qui riproposti nebulosamente: l’unità e l’armonia dei contrari figurativamente rese attraverso il dialogo e lo scontro reiterato con il giovane collaboratore Šuka Horn, i contorni dell’identità di genere e della primigenia relazione tra padre e figlio, il flusso perenne del divenire, le forze paniche della natura ed il potenziale desiderio di maternità. “Io cerco di capire la vita - confessa il coreografo greco - e materializzare sul palcoscenico il mio sentire e le mie domande sulla vita e allora incontro gli archetipi”.
Una performance, questa, che si configura innegabilmente come progetto in fieri concepito nel lungo periodo di lockdown e in via di definizione, alla ricerca di compiutezza, completezza e consapevolezza semantica. Una creazione capace di rispecchiare il vissuto contemporaneo condiviso di quella “sospensione temporale” - come ama definirla Anna Cremonini, direttore artistico del festival torinese - divenuta occasione preziosa per “immaginare - continua Cremonini - opere particolari, vere e proprie testimonianze di partecipazione, che mantengono vivo, aperto e originale lo spazio del Festival”.

Vito Lentini

Ultima modifica il Giovedì, 24 Settembre 2020 21:16

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