di Marta Dalla Via e Silvia Gribaudi
con Marta Dalla Via e Silvia Gribaudi
direzione tecnica Leonardo Benetollo
consulenza coreografica Chiara Frigo
costumi Sonia Marianni
luci Roberto Di Fresco
ricerca materiale Eugenia Casini Ropa, Franca Zagatti, Maria Pia Pagani
residenze artistiche Fondazione Armunia - Castello Pasquini
in collaborazione con Progetto Duse2024 del Comune di Asolo - Museo Civico di Asolo - Teatro Duse | www.duse2024.it | Curatela performing arts Cristina Palumbo
produzione Associazione Culturale Zebra
coproduzione Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale, La Corte Ospitale
con il sostegno di MiC - Ministero della Cultura
Festival Danza in Rete 2025
Vicenza, teatro Astra, 23 aprile 2025
Voleva essere un omaggio a due grandissime artiste (Eleonora Duse e Isadora Duncan) o un semplice esercizio, peraltro lento, frenato, sconnesso di parole e qualche passo di danza? Voleva essere danza? Perche, allora, non s’è vista o quasi. Doozies richiama stramberia che però non si concilia benissimo a mio parere con due grandi giganti della prosa e della danza come Duse e Duncan, innovatrici, esplosive, miti ancor oggi per quello che hanno vissuto e realizzato. E l’ironia in questo specifico caso non dà una mano all’operazione fatta da Silvia Gribaudi e Marta Dalla Via, danzatrice coreografa una, attrice l’altra, viste a Vicenza in una delle ultime date di Danza in Rete. Divertimento puro, semplice, leggero? Perché allora richiamare due grandi artiste del passato? In ogni caso, anche in questo, si poteva fare di più. Lo spettacolo, strambo, bisogna sempre ricordarlo ma questo è il suo mantra, ha un impianto drammaturgico debole, al continuo richiamo di Io se fossi la Duse, o la Duncan, ripetuto all’infinito dove il gusto del divertissement fine a se stesso rimane l’unico appiglio. La performance, che non è carne né pesce e forse si bea di questo, inizia ben prima dello spettacolo con la Gribaudi a spasso per la sala in esercizi semiseri tra la danza e lo stiramento, nel bel mezzo del passaggio del pubblico che cerca il proprio posto. Gribaudi è artista intelligente e brava, e infatti questo iniziare, assieme ai passi di danza, a quella tecnica mostrata più avanti sarà la punta di forza di tutto anche se purtroppo non salva lo spettacolo. Completo viola, a dispetto della scaramanzia teatrale, come la sua collega che si mostrerà poco dopo l’inizio sul palcoscenico, Gribaudi inscena con la Dalla Via alcuni dialoghi surreali, e invita il pubblico a seguirla nei movimenti, da seduti, richiami tecnici di scena come l’agitare delle foglie con le braccia, ad esempio. E’ teatro d’avanguardia, si sente dire da una spettatrice a un’amica, ma credo che siamo ben lontani da ciò. L’evocazione dello spirito della Duse vorrebbe, sempre con ironia, trattare la Divina e incasellarla col sorriso nel ricordo, ma funziona a metà. Le intenzioni e gli argomenti buttati nel testo sono tanti, dalla spocchia degli attori (o i soldi dei loro genitori) per permettersi di fare quel mestiere, al gioco sul mito, sempre strambo, mi raccomando. Il testo rimane debole e sconclusionato, e la musica cambia, come detto prima, solo quando Gribaudi accenna dei passi di danza mostrando l’eccellente tecnica. Che, messa accanto all’ironia non sempre viaggia in coppia e quando lo fa non convince. Strambi (anche qui) applausi partono alla volta delle due protagoniste, applausi a scena aperta, risate, ma la danza c’è e soprattutto non c’è, latita, su un testo traballante. Che dire di più se non che il tutto è un misto mare di citazioni, stramberie varie, ironia dosata e non sempre di presa? Che dire ancora, se non che il finale è anonimo? E che dire del giudizio del pubblico, benevolo, da simpatizzante? Che in fin dei conti è’ stata un’occasione persa per approfondire e far incuriosire su due icone, due modi anticipatori di rinnovamento nel loro genere artistico, che meritava certo di più. Francesco Bettin