Lucia Cardone IL MELODRAMMA Il Castoro, Milano, Euro 15.50, pp. 140 (CINEMA - Alberto Pesce)
A proposito del melodramma nel nostro cinema di non facile definizione, Lucia Cardone ventaglia anzitutto sulla spettroscopica varietà del genere, per trarre di rimbalzo dai molti studi in argomento, alcune costanti di tema e di stile. Mette a fuoco quella passionalità che è "l'amore per l'amore", lungo un percorso che è "ricerca del piacere incentrato sul bisogno di soffrire", con effetti spettacolari di vasta "popolarità", soprattutto, dato "il ruolo giocato dalle donne" in coppia, famiglia, società, di forte impatto emotivo sul pubblico femminile. Poi, prima di esemplare la diversità temporale di caratura melò con la "intermedialità" di Assunta Spina (1915), la "invasività" di Lo squadrone bianco (1936), la "normatività" di Nessuno torna indietro (1943), la "popolarità" di Catene (1949), la "autorialità" di Rocco e i suoi fratelli (1960), e la "irriducibilità" di Respiro (2002), la Cardone ne disegna una cartografica mappa in divenire. Durante il muto, differenziando il melò alla Notari, nutrito da "pratiche basse e sanguigne dell'avanspettacolo", dalle seducenti sedotte alla Bertini o alla Menichelli, col loro erotismo dentro fosche vicende. E tra gli anni 30 e 40, marcando il percorso di slontanamento dalle "collegiali e le birichine e giovani impertinenti tipiche della commedia" per concentrarsi dapprima sui film alla Mattoli "che parlano al vostro cuore" e poi a presenze di forte individualità, grazie anche alla ventata neorealistica "figure irrequiete segnate da una bellezza inedita". Se con Visconti, Antonioni, Bertolucci e i Taviani a varie prospettive "il discorso amoroso e il discorso politico sembrano illuminarsi e oscurarsi a vicenda", saranno soprattutto le serie televisive a rinverdire l'immaginario melò con collaterali riflessi anche sul versante cinematografico.
Alberto Pesce
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