Arianna Pagliara Anche se forse più in Europa che negli USA, Terrence Malick, texano, è un autore di culto. Gli si ammira quella personale marcatura del suo cinema, nel linguaggio di un respiro più musical-lirico che narrativo, e nei temi dalle complesse prospettive nutrite di ideologici sottofondi di pensiero. Vi applica la propria ferratissima acribia critica anche la giovane studiosa romana Arianna Pagliara. Anzitutto, in premessa, a gradienti in una visione spettroscopica su un malickiano “universo sospeso e rarefatto”, coglie suggestioni ideomitiche di un pensiero filosofico che scende da Heidegger e Wittgenstein, soprattutto da Emerson, ma sempre con una visione filosofica che specie con voci fuori campo sta “nel generare domande più che nell’offrire risposte”, con moralità di sguardo anche nell’epica della violenza e della morte, in una via via cangiante dimensione spazio-temporale, magari dapprima con Badlands e I giorni del cielo “geometrizzabile”, più in là con The Tree of Life trasfigurata “in un magma fluido e pulsante”, in ogni caso con immaginario che agisce “sul piano percettivo prima che su quello intellettuale”. Alberto Pesce
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