Marina Pellanda ANDREJ TARKOVSKIJ. ANDREJ RUBLEV Lindau, Torino, pp. 283, € 24,00 (CINEMA - Alberto Pesce)
Di Andrej Tarkovskij dopo L'infanzia di Ivan il secondo lungometraggio Andrej Rublev non è una olografia del dissenso (così interpretato al tempo di Breznev, e il film del 1966 dovette attendere tre anni per uscire di Russia, in concorso a Cannes), né la agiobiografia di un famoso pittore del '400, ma la traduzione di una tensione morale che non è rabbia o ira di passione, ma contemplazione distaccata, a piani-sequenza, di una pacatezza dolente, scabra che accresce la forza drammatica quanto più si posa, pausativa, suo quanto è terrestrità, amore dell'uomo, nella vastità di una terra di cui anche il cielo è specchio immanente. Marina Pellanda ne analizza stigma autoriale muovendo dal presupposto tutto tarkovskiano della "unità del senziente col sentito", in progressiva sintonia col lettore zoomando in profondità a gradienti successivi. Così, dopo essersi dilungata sulla trama, non lineare tessitura di episodi, sei capitoli tra prologo ed epilogo, sonda su ciascuna delle otto sequenze servendosi poi del prologo per esemplificare minuziosamente minutaggio di struttura. Con questo informativo bagaglio, aiuta quindi il lettore a cogliere analogie d'anima tra i due Andrej, pittore e regista, tra occhio filmico e pittorica icona "simmetria compositiva", con personaggi e spazi "verso un'eternità che, pur laica, coincide almeno in parte con la trascendenza dell'icona", per lo spettatore di un "arrivare a conoscersi meglio". In questa prospettiva di luce, il ritratto di Andrej Rublev si chiarisce e completa attraverso chi e come è visto in suo rapporto, personaggi quali Kirill e Daniil il Nero, il Buffone e Boriska, Teofane il Greco e la Muta, la Pagana, Fomà, e situazioni quali scorreria di Tartari, "strategia comunicativa" del silenzio, fusione di una campana, dopo quasi tre ore bianconere "l'artificio espressivo del colore".
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