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DON CARLO - regia Giancarlo Del Monaco

"Don Carlo", regia Giancarlo Del Monaco. Foto Opera di Firenze, Maggio Musicale Fiorentino "Don Carlo", regia Giancarlo Del Monaco. Foto Opera di Firenze, Maggio Musicale Fiorentino

Opera in quattro atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Joseph Méry e Camille du Locle
Direttore Zubin Mehta
Regia Giancarlo Del Monaco
Regista associata Sarah Schinasi
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Jesús Ruiz
Luci Wolfgang von Zoubek
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Don Carlo Roberto Aronica
Elisabetta di Valois Julianna Di Giacomo
Filippo II Dmitry Beloselskiy
Rodrigo, marchese di Posa Massimo Cavalletti
Principessa Eboli Ekaterina Gubanova
Il Grande Inquisitore Eric Halfvarson
Un frate Oleg Tsybulko
Una voce dal cielo Laura Giordano
Tebaldo Simona Di Capua
Il Conte di Lerma Enrico Cossutta
Allestimento dell'ABAO-OLBE di Bilbao, della Fundación Ópera de Oviedo, del Teatro de la Maestranza de Sevilla e del Festival Ópera de Tenerife
Firezne, Maggio Musicale Fiorentino dal 5 al 12 maggio 2017

www.Sipario.it, 6 maggio 2017

Mettere in scena il Don Carlo, versione in quattro atti, si può, soprattutto se sul podio ci stia Zubin Metha... Ma che poi il risultato finale sia all'altezza del capolavoro verdiano sotto ogni aspetto, qualche volta rimane un pio desiderio.
E tale è rimasto, infatti, il 6 maggio 2017, con il capolavoro verdiano all'Opera di Firenze, in un'ampia coproduzione dell'ABAO-OLBE di Bilbao, della Fundación Ópera de Oviedo, del Teatro de la Maestranza de Sevilla e del Festival Ópera de Tenerife, per la regia di Giancarlo Del Monaco, le scene di Carlo Centolavigna, illuminate da Wolfgang von Zoubek, e i costumi, belli a onor del vero, di Jesús Ruiz.
Si diceva di un grande maestro come Metha sul podio e questo avrebbe dovuto essere garanzia di sicurezza. Sì, lo è stata, nel momento in cui il Maestro ha potuto dispiegare tutta la propria perizia di grande direttore e mettere la bella orchestra fiorentina in primo piano. Nel dover supportare gli interpreti, invece, è rimasto come frenato, rallentato addirittura, con una tendenza a tempi dilatati.
Se da un lato questo porgeva ai cantanti tutto lo spazio possibile, dall'altra li penalizzava, costringendoli a fiati lunghi e ad una difficoltà di coesione scenica che si è avvertita lungo tutto l'arco dell'opera. Oltretutto, gli interpreti avevano sicuramente dovuto ripassare il solfeggio dell'intera opera, perché era talmente perfetto da risultare scolastico: tutti gli interpreti, nessuno escluso, compreso quello del fantasma di Carlo V, che di solito ha molti problemi in proposito.
Ma la correttezza in tal senso da parte di professionisti sul palcoscenico non significa sentirli sillabare...il legato era assente in molte fasi dell'opera, da parte di tutto il cast. Il che denuncia problemi di non lieve entità che il M° Metha ha dovuto affrontare e risolvere, disponendo sul palcoscenico di materiale sonoro qualitativamente piuttosto variegato.
Le voci, infatti, non erano tutte allo stesso livello e in un'opera come questa ne basta una meno capace per trascinare giù l'intero cast.
Il Don Carlo di Roberto Aronica è stato stirato negli acuti, a momenti calante, anche se preso d'impegno perchè coinvolto nel ruolo dalla regia. Sinceramente la sua voce non era gradevole né ben emessa e non si amalgamava a quella dei colleghi in scena e meno che mai con quella del Rodrigo di Massimo Cavalletti.
Il Cavalletti ha una peculiare tecnica di emissione, in particolare negli acuti, che spinge con eccessiva foga e che emette con una tecnica che ricorda quella di Leo Nucci. In realtà, nel Cavalletti, il risultato è quello di una discontinuità della resa sonora, con atteggiamenti plateali della maschera, la bocca spalancata all'eccesso nell'emissione delle "a" e delle "e", una mancanza di eleganza nel fraseggio. Un Rodrigo che, anche scenicamente, non ha tenuto alto il ruolo fondamentale che questo personaggio ricopre nell'opera.
L'Elisabetta di Julianna Di Giacomo, la più volenterosa in scena, era al debutto nel ruolo. Come intimidita, all'inizio pareva possedere una vocalità offuscata, priva di brillantezza. In realtà, andando avanti nella recita, ha preso coraggio e si è dimostrata un'interprete accettabile, che deve ancora mettere a punto vocalmente molti aspetti, i filati, per primi, ma che può avere chance di proseguire su questa strada, anche perché aveva studiato scenicamente il personaggio e la dolente Elisabetta, pur se un po' impacciata, c'era tutta.
Squillante e scenicamente vivace l'Eboli di Ekaterina Gubanova, con tanto di benda sull'occhio destro, che però ha avuto all'improvviso qualche problema d'intonazione. Ma non solo lei: i problemi d'intonazione hanno afflitto quasi tutto il cast.
Il Filippo II di Dmitry Beloselskiy ha dimostrato una spavalderia poco regale. Il giovane basso, però, a parte la platealità scenica, non possiede gravi profondi, il che, per un basso, è una pecca non da poco. Faceva da contraltare il Grande Inquisitore di Eric Halfvarson che non aveva, invece, gli acuti. Insomma: da due bassi se ne faceva uno solo.
Incolori gli altri interpreti; ottimo, invece, il Coro guidato da Lorenzo Fratini.
E si giunga alla regia di Giancarlo Del Monaco, dove i crocifissi sovrabbondavano ed erano anche multiuso...Servivano perfino da corpi contundenti contro il Grande Inquisitore, o da pesantissima penitenza per i figuranti nell'autodafé, con un crocifisso di 500 kg in giro per il palcoscenico, ripreso dal Cellini e "scandalosamente" nudo, dato che ci si trovava in piena Santa Inquisizione nella cattolicissima Spagna, pur se l'originale sia collocato all'Escorial. Il crocifisso del pastorale dell'esile Grande Inquisitore, poi, era di dimensioni degne di una processione del venerdi santo.
Illogicità ed imperfezioni hanno costellato l'intera serata, priva di pathos, nonostante gli sforzi ispirativi alle posture ed ai colori oscuri della pittura fiamminga, e che ha annoverato, per esempio, nella scena quarta della parte seconda al primo atto, l'invenzione di una spia dell'Inquisizione, la figura di un monaco orante che si aggirava nel chiostro di San Giusto, "mura pie" dove "la regina di Spagna può sola penetrar" (!), per tenere d'occhio la sovrana nell'incontro con Carlo ed avvisare poi il re.
In seguito si è visto Rodrigo, il quale nella scena dell'Autodafé porge la spada di Carlo a Filippo II, ricevere da lui il titolo di duca inginocchiato ai piedi del sovrano col cappello in testa; oppure, all'inizio della scena prima del secondo atto, lo scambio non debitamente motivato sul palcoscenico dei mantelli tra la regina ed Eboli, che s'intende, invece, nel libretto, svolgersi durante una festa in maschera dietro le quinte.
Per culminare, poi, con la scelta del finale dell'opera secondo la cosiddetta "leyenda negra", che vuole Carlo ucciso dal padre, passato a fil di spada.
Un gran minestrone insomma, un po' velleitario, tra l'altro, nell'affermazione di aver voluto essere "più vicino possibile a Verdi e Schiller", come il Del Monaco ha dichiarato, che il regista dovrebbe quanto meno rivedere e sfrondare, perché, oltretutto, ci sono cose che il libretto sottintende appositamente e che è inutile andare a cercare per svelarle con genialate incongruenti.
Eppure, serata di applausi a tutti gli interpreti, sia pure con qualche dissenso giustamente serpeggiante.

Natalia Di Bartolo © DiBartolocritic

Ultima modifica il Domenica, 07 Maggio 2017 00:50

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