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DON CARLO - regia Robert Carsen

"Don Carlo", regia Robert Carsen. Foto Michele Crosera, Fondazione Teatro La Fenice "Don Carlo", regia Robert Carsen. Foto Michele Crosera, Fondazione Teatro La Fenice

Opera in quattro atti di François-Joseph Méry e Camille Du Locle, dal poema drammatico Don Carlos, Infant von Spanien di Friedrich Schiller; Traduzione italiana di Achille de Lauzieres e Angelo Zanardini
Musica di Giuseppe Verdi 
Prima rappresentazione assoluta della versione originale in cinque atti Parigi, Opéra, 11 marzo 1867 
Prima rappresentazione della versione italiana in quattro atti
Milano, Teatro alla Scala, 10 gennaio 1884
Personaggi e Interpreti
Filippo II Alex Esposito
Don Carlo Piero Pretti
Rodrigo marchese di Posa Julian Kim
Il grande inquisitore Marco Spotti
Un frate Leonard Bernad
Elisabetta di Valois Maria Agresta
La principessa Eboli Veronica Simeoni
Tebaldo Barbara Massaro
Il conte di Lerma Luca Casalin
Un araldo reale Matteo Roma
Una voce dal cielo Gilda Fiume
Deputati fiamminghi
Szymon Chojnaki, William Corrò, Matteo Ferrara, Armando Gabba, Claudio Levantino, Andrea Patucelli
Direttore Myung-Whun Chung
Regia Robert Carsen
Assistente alla regia e movimenti coreografici Marco Berriel
Scene Radu Boruzescu
Assistente alle scene Serena Rocco
Costumi Petra Reinhardt
Luci Robert Carsen e Peter Van Praet
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Allestimento
Opéra national du Rhin Strasbourg e Aalto-Theater Essen
Venezia, teatro La Fenice, 7 dicembre 2019

www.Sipario.it, 10 dicembre 2019

"Elisabetta di Valois è stata promessa in sposa a don Carlo, figlio di Filippo II di Spagna, ma quest’ultimo, vedovo, ha deciso di sposarla lui stesso. Elisabetta ha accettato, sperando così di contribuire al processo di pace tra Francia e Spagna. Ma Carlo ed Elisabetta si amano ancora…"
Così in sintesi lo stesso Robert Carsen, nella Synopsis nel programma di sala scritta da lui medesimo, spiega questo Don Carlo di Giuseppe Verdi, dal dramma storico di Federico (Friedrich) Schiller del 1787, da cui è stato tratto il libretto, proposto dalla Fenice di Venezia come spettacolo inaugurale della stagione 2019-2020, direzione di Myung-Whun Chung. Si tratta di una ripresa dell'allestimento dato nel 2016, coproduzione tra l'Opéra national du Rhin di Strasburgo e del Teatro dell'Opera di Essen. Già il fatto di essere una produzione franco-germanica ci fa capire l'ambito interpretativo registico del dramma musicale, già a suo tempo commentato dalle numerose recensioni apparse per quella edizione. Finzione storica, quella di Schiller che nel suo dramma, Don Carlo, infante di Spagna, lo trasforma in un eroe esuberante nella sua passione d'amore e politica, ansioso di liberarsi dall'oppressione paterna. In realtà era poco più che un demente che, un gioco di potere, l'ha fatto promesso sposo all'erede al trono di Francia Elisabetta di Valois che, forse in cuor suo, ha tirato un sospiro di sollievo quando venne chiesta in sposa dal re di Spagna Filippo II. Finzione storica la figura di Rodrigo, marchese di Posa, simbolo della libertà e della tolleranza, in opposizione al cieco assolutismo di Filippo II di Spagna e ai Grandi di Spagna. Per questo l'opera incarna perfettamente lo spirito pre-romantico dello Sturm und Drang germanico. Libera elaborazione fu il libretto verdiano, e finzione per finzione, il regista gioca la sua carta introducendo variazioni sceniche che con il libretto, la trama drammaturgica originale e la Storia hanno poco da spartire. Il Marchese di Posa, Rodrigo per il dramma, nominato duca all'istante nel corso dello scorrere della vicenda  per meriti acquisiti agli occhi del re Filippo, da eroe della libertà degli oppressi Fiamminghi diventa una spia dell'Inquisizione, traditore, cedendo il principe Carlo, i Fiamminghi stessi e lo stesso Filippo II al Grande Inquisitore, che tutto vede e che cieco non è, che vince su tutti: vittoria sancita dalla sua finta morte e dalla stretta di mano con il Monaco inquisitore e dall'eliminazione per archibugiata dello stesso re. Potere della Chiesa Controriformista che tutto controlla e tutto governa anche sul destino dei potenti. Ma questa era, alla fine, la verità della Spagna storica di Filippo II, tutta racchiusa nella tomba del Monastero reggia dell'Escurial, impenetrabile nel suo rigido cerimoniale di corte. Le scene di Radu Boruzescu hanno saputo ricreare quel clima claustrofobico e cupo che aleggiava sulla corte di Spagna, vie senza uscita, per le vite che sia il dramma schilleriano che la musica verdiana descrive nella pienezza dei suoi ritratti musicali. Unica voce fuori dal coro la Contessa di Eboli, alla ricerca di amore e di vendetta, ritratta alla perfezione dalla Canzone del Velo, quella “canzone saracina” che ci riassume ciò che era la Spagna al di fuori delle mura della tenebrosa corte asburgica. Va il merito alla regia di aver alleggerito la scena dell'autodafè che, nell'essenzialità della lettura, viene esemplificato nel rogo di libri (del resto chi brucia libri alla fine brucia anche gli autori degli stessi) con una eliminazione dei dissidenti in maniera moderna, pratica e veloce. Gestione musicale compatta, ricerca del suono possente e legato, con polso, da parte di Myung-Whun Chung, che dà tono al volume dell'orchestra, indirizzata a dimostrare quanto di modernità per l'epoca fosse presente nell'opera, versione 1884. Il problema è stato conciliare questa ricerca musicale con ciò che avveniva sul palcoscenico che spesso dava segni di non recepire l'idea del direttore e che provocava nell'orchestra momenti di rallentamento e di sospensione in una ricerca di sintonia con il canto. Palcoscenico che si presentava interessante ma che ha dato segni di squilibrio vocale. Qualche difficoltà l'ha mostrata il Don Carlo di Piero Pretti, in una parte eccessiva per la sua vocalità di tenore addestrato a ruoli più romantici e lirici del repertorio della prima metà dell'Ottocento, il soprano Maria Agresta, Elisabetta di Valois, pratica nel ruolo, ha dato prova, nell'esecuzione dell'aria “Tu che le vanità“ di possedere, tutta la gamma di voce verso l'alto, ma le ha fatto difetto una perdita di cantabilità nella gestione del fraseggio  facendole mancare tutta l'espressione dell'abbandono lirico e malinconico caratteristico del personaggio. Interessante è stata la Principessa Eboli del mezzosoprano Veronica Simeoni, che ha reso la parte in maniera fresca e giovanile mostrando cantabilità ed esuberanza nei sui due momenti (La canzone del Velo e Don fatal) in quegli aspetti duplici e ambigui della personalità del personaggio. Debuttante nel ruolo, Alex Esposito ha disegnato un Re di Spagna amaro, violento, non vecchio, anche di timbro meno scuro rispetto alla tradizione, meditabondo in tutta la gestione dell'opera. Come il Rodrigo del baritono Julian Kim, dimostrando facilità nel canto, mentre il Grande Inquisitore di Marco Spotti ha dimostrato capacità vocali di pregio nelle ardue incursione profonde. Hanno completato il cast con interventi mirati Barbara Massaro, Tebaldo, in veste da suora, il conte di Lerma Luca Casalin, un araldo reale Matteo Roma, una voce dal cielo Gilda Fiume come il sestetto dei deputati fiamminghi composto Szymon Chojnaki, William Corrò, Matteo Ferrara, Armando Gabba, Claudio Levantino, Andrea Patucelli. Da menzionale un frate di Leonard Bernad. Ottimo il Coro, diretto da Claudio Marino Moretti, ben definito nei settori, perfettamente equilibrati. Entusiasmo finale e tanti applausi a scena aperta. Ovazione per il maestro Myung-Whun Chung per quella che era l'ultima replica del titolo il tutto, in un teatro esaurito come per tutte le rappresentazioni in calendario.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Domenica, 15 Dicembre 2019 10:41

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