Dramma musicale in 10 scene
per 3 solisti, attore, complesso vocale, quartetto d'archi e ensemble strumentale
musica di Mauro Montalbetti
libretto di Alessandro Leogrande
Personaggi e interpreti
Yasmina, Cristina Zavalloni
Luam, Elizangela Torricelli
Karim, Gabriele Mari
Politico, Alessandro Albertin
Ensemble strumentale della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Quartetto Mirus
Zero Vocal Ensemble
direttore Francesco Bossaglia
regìa e video Alina Marazzi
scene, costumi e luci Angelo Linzalata
Reggio Emilia, Teatro Ariosto 29 settembre, 1 ottobre 2017
Haye: Le parole, la notte, produzione della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia/Festival Aperto in collaborazione produttiva con la Scuola di Arti Visive di IED Milano e Istituto Luce Cinecittà, rappresentato in prima assoluta per Aperto Festival, è un'opera in musica di Mauro Montalbetti complessa ma immediata, su libretto di Alessandro Leogrande. Con quest'opera la regista Alina Marazzi ha portato sulle scene un tema contemporaneo, sì, ma prima di tutto antico quanto l'uomo: la migrazione con tutte le sue ombre.
Questo viaggio musicale nelle migrazioni contemporanee racconta due storie intrecciate e una come sfondo: la storia di una migrante eritrea, scampata al naufragio di un barcone, intrecciata con il rapporto di uno scafista e sua madre. Sullo sfondo, il naufragio del piroscafo Principessa Mafalda davanti alle coste del Brasile, che coinvolse diversi migranti italiani nel 1927.
Dramma musicale in dieci scene per tre solisti, complesso vocale, quartetto d'archi e ensemble strumentale, questa opera è un potente affresco polifonico, alle cui voci fanno da complemento corpi che si muovono come in una lenta coreografia e parti recitate. I recitativi fanno da cesure a immagini e suoni in un continuo dialogo fra quattro voci: soprano, tenore, voce femminile e attore. La parola tigrina "haye", come racconta il compositore, riassume la filosofia di sopravvivenza del migrante: andare sempre avanti, mai tornare indietro. La musica di Montalbetti è resa in modo squisito dagli interpreti fino ad essere commovente nell'interpretazione di Cristina Zavalloni, che pare permeata dello spirito della creazione. Complessa dal punto di vista ritmico, quest'opera ha tempi in cui la musica fluisce come sospesa, senza una corrispondenza ritmica e richiede una profonda concentrazione. E' una musica scritta con rigorosa geometria, che all'ascolto sembra casuale.
La regia, con una drammaturgia non lineare e continui scatti temporali, si basa fortemente sull'interazione fra suono e video, articolando la narrazione attorno alla centralità della parola, cantata o recitata, su piani diversi, e cambiando continuamente il punto di vista sul problema. E' così che i lati più umani e poetici vengono indagati, ora dai video, ora dai protagonisti in scena. Si crea allora un tunnel articolato che ridà voce agli uomini e alle donne che scappano da guerre, dittature, carestie, e che in genere vengono sentiti come mute entità, prive di parola. I contributi video in scena diventano quindi personaggio che dialoga con i corpi e le voci dei cantanti e dell'attore.
Nel libretto Alessandro Leogrande racconta un viaggio di migranti come tanti con tragico epilogo. Il racconto si colloca a tratti in una dimensione onirica in cui le figure sono i fantasmi dei naufraghi che dialogano con i sopravvissuti, e a tratti invece prende la forma concreta della testimonianza.
Giulia Clai