Ovvero Istruzioni per rendersi infelici
Liberamente tratto dal romanzo di Alexandre Dumas figlio
drammaturgia e regia di Giovanni Ortoleva
dramaturg Federico Bellini
scene Federico Biancalani, costumi Daniela De Blasio
musica Pietro Guarracino, movimenti di scena Anna Manella
disegno luci Davide Bellavia, assistente alla regia Marco Santi
con Gabriele Benedetti, Anna Manella, Alberto Marcello, Nika Perrone e Vito Vicino
realizzazione scene Federico Biancalani e Nadia Baldi realizzazione costumi Daniela De Blasio, Rocio Orihuela Perea, Viviana Bartolini
In tournée luci Alice Mollica, fonico Emanuele Morena
produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, Elsinor – Centro di Produzione Teatrale, TPE – Teatro Piemonte Europa, Arca Azzurra Associazione Culturale. Spettacolo selezionato da Next - Laboratorio delle Idee per la produzione e programmazione dello spettacolo lombardo. Distribuzione Gianluca Balestra / Elsinor
sala Trionfo dei Teatri di Santagostino di Genova, ospite del Teatro della Tosse, 28 novembre 2024
Anziché di Comedie humaine di balzachiana memoria, di questa Signora delle Camelie, per la drammaturgia e regia di Giovanni Ortoleva, come anche del romanzo omonimo di Dumas figlio, si potrebbe parlare di “Commedia dell'umano” che costruisce i simulacri di un sentimento che non si riconosce e non è più riconosciuto, in un'epoca di unione trionfale tra capitalismo e patriarcato in cui tutto è diventato questione di denaro e di potere, e quindi più di classe che di genere, e che così trasfigurando ha svuotato gli uomini e le donne suoi prigionieri, privando gli uni delle altre e disseccando gli uni e le altre. Il tutto in quella sorta di tardo romanticismo alle soglie del nuovo secolo che, come il dramma nella concezione di Szondy, reitera le forme 'sentimentali' di sè stesso senza più credere ai suoi contenuti, i sentimenti appunto, e così mostrando con più evidenza il vuoto che ha cominciato a circondarci ed in cui siamo precipitati. Una tragica storia d'amore? Forse, ma la storia di un amore per sé stesso, come quello di tanti odierni autori di femminicidi, un amore narcisista e “tossico” per una immagine di donna che è una proiezione non un soggetto, una immagine imprigionata nel 'totem' della nuova società dello spettacolo, un palchetto di teatro fatto non per guardare, ma per essere guardato, e che circola sulla scena senza che lei (Margherita?, Violetta?) mai l'abbandoni. Una immagine, dunque, mimetica ma mai dialogicamente compagna, ed in effetti quando Eleonora Duse se ne è impadronita, così ci raccontano i grandi critici e studiosi Gramsci e Gobetti che anche per questo amavano assistere a più sue rappresentazioni, riempiendola della sua arte e della sua vitalità, ne ha potuto mostrare l'irriducibilità, quella opposività di un femminile che cominciava a non riconoscersi più nei ruoli che le erano socialmente e culturalmente riservati in quel patriarcato, anche per lo stimolo all'individualità 'libera' che lo stesso capitalismo insieme paradossalmente stimolava, pure nella donna, come dimostra l'esperienza, spesso violenta, del sufragismo.. Il punto di riferimento principale di questa drammaturgia, più che le numerosissime versioni teatrali che l'hanno seguito ivi compresa “La traviata” di Verdi/Piave, è stato come detto il Romanzo e bene ha fatto Giovanni Ortoleva, nella scrittura scenica (coadiuvato dal bravo dramaturg Federico Bellini) e nella regia, a destrutturarne il compatto narrare per consentire da una parte l'emergere dal suo interno delle svariate 'corrispondenze' che celava non elaborate ma soprattutto, dall'altra, per renderlo accogliente al precipitare delle altrettanto numerose suggestioni di un oggi segnato in particolare dall'estrovertersi della violenza sulle donne. “La Signora delle Camelie”, comunque la si chiami, quale proto-eroina femminile come è sembrato emergere dalla presentazione/dibattito che ha preceduto lo spettacolo, dunque? Forse, ma soprattutto in quanto espressione quasi esplicita dell'immagine che il maschio, oggi come ieri, ha della donna, ed è forse proprio per questo che è necessario renderla consapevole innanzitutto al maschio, poiché al contrario la consapevolezza femminile ha continuato a vivere e crescere, anche metaforicamente 'costretta' nella prigione del Patriarcato. Una immagine incardinata nelle generazioni e genealogie 'patri-lineari' di cui la stessa vita di Dumas fils è rappresentazione, sia nei suoi aspetti economici e politici, come già allora la 'rivoluzionaria' riflessione di Marx e Hengels destrutturava, sia nei nei suoi aspetti più intimi che, pur tra mille contraddizioni e 'arretramenti', la allora sorgente psicoanalisi di Freud e Jung andava liberando dall'inconscio e dal non detto, o infine, dal punto di vista filosofico, il ribaltante insegnamento di Nietzche che ha nel rapporto con Lou Salomé una precisa evidenza. Ricordiamo in proposito la significativa fotografia di lei con la frusta che tiene al basto lui insieme a Paul Rée. Questa drammaturgia in un certo senso ne raccoglie la tripla eredità e gli sviluppi con cui tutta la drammaturgia tra fine ottocento e inizio novecento, da Ibsen a Strindberg da Wedekind a Rosso di San Secondo e Svevo, segnava la sua stessa crisi. Lo si intravvede già nella personaggia e nei personaggi di contorno, dentro e fuori quel totem di cui ho parlato, Prudenza e soprattutto Gastone, cinici raissonneur narratori di quel mondo di Camelie bianche e di Camelie rosse. Bravi al riguardo tutti e cinque gli interpreti, nella mimica tra il simbolico e il verista alla Zola con accenni al novecentesco vaudeville, e nella prossemica che si spinge fino alla trascrizione metaforica nella danza. Uno spettacolo interessante, attrattivo e propositivo, capace di rendere esteticamente le forme di un dibattere e riflettere che va oltre la scena ma nella scena trova interpreti ed interpretazioni che lo svelano, sciogliendone molti nodi anche quelli intricati e attualissimi del linguaggio e delle parole che lo caratterizzano. Infatti come scriveva Rainer Werner Fassbinder, citato in esergo alle note di regia: “Ciò che non si può cambiare bisogna almeno descriverlo”. In particolare, e qui torniamo alla presentazione che ne è stato l'introito, laddove diventa più chiaro che il Patriarcato in crisi ma continuamente e ossessivamente 'mutante' è un imprigionante problema in primis dei maschi, la cui soluzione è però necessariamente di e per tutti e tutte, maschi e femmine che siano. Per dirla fuor di metafora abbiamo visto in scena dei poveri esseri infelici, non comunicanti e per sempre dolorosamente distanti. Alla sala Trionfo dei teatri di Santagostino ospite del Teatro della Tosse, che lo co-produce e che ancora una volta si rivela avere uno sguardo innovativo oltre il banale e il provinciale, con un pubblico che avrebbe dovuto e potuto essere ancora più numeroso e che ha a lungo applaudito. Maria Dolores Pesce