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ORFEO ED EURIDICE – regia Pier Luigi Pizzi

"Orfeo ed Euridice", regia Pier Luigi Pizzi "Orfeo ed Euridice", regia Pier Luigi Pizzi

musica di Christoph Willibald Gluck
libretto di Ranieri de’ Calzabigi
prima rappresentazione assoluta
Vienna, Burgtheater, 5 ottobre 1762
copyright ed edizione: Baerenreiter Verlag, Kassel
rappresentante per l’Italia: Casa Musicale Sonzogno
di Piero Ostali, Milano
versione Vienna 1762
personaggi e interpreti
Orfeo Cecilia Molinari
Euridice Mary Bevan
Amore Silvia Frigato
direttore e maestro al cembalo Ottavio Dantone
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
light designer Massimo Gasparon
assistente alla regia e movimenti coreografici Marco Berriel
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Alfonso Caiani
musici mimi Asolo Musica
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, Teatro La Fenice, 30 aprile 2023

www.Sipario.it, 9 maggio 2023

Tante sono le versioni dell'Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck che si sono susseguite nel corso della sua storia musicale: dalla prima versione originale di Vienna (1762), con protagonista la vocalità di castrato contralto, a quella approntata per Parma (1769) per sopranista; a cui si aggiunge l’adattamento per Parigi (1774) il cui ruolo fu affidato ad un tenore acuto, con inserimento di danze, per giungere a quella di Milano nel 1813 affidata ad una voce femminile. E poi le diverse revisioni della partitura: di Berlioz (Parigi,1859) a cui seguirono l'edizione Dörffel (Lipsia, 1866) a cui si aggiunse quella di Ricordi (Milano, 1889) a dimostrare un interesse per la scrittura musicale di Gluck continua nel tempo, ma nel segno del mutare delle pratiche esecutive nei confronti di una cultura del Settecento musicale per un opera, anzi azione teatrale, che segnò il rinnovamento nella storia dell’opera, tesa all'essenzialità nella linea del canto e nella semplificazione dell'azione drammatica. Con Orfeo ed Euridice Gluck, coadiuvato dal libretto di Raniero Calzabigi, procede nella ricerca dell'essenzialità nell'opera musicale, affidando il suo messaggio di riforma proprio al mito fondativo della musica, prima di quelle opere “riformate” in cui il compositore tedesco si propose di sostituire alle trame intricate e al canto troppo virtuosistico dell’opera seria una “nobile semplicità” tanto nella musica quanto nella drammaturgia: un ritorno all'essenzialità del recitar cantando monteverdiano che cercava la massima verosimiglianza tra canto e recitazione. Tuttavia il convenzionale lieto fine, l’uso di strumenti arcaici e il ruolo protagonistico assegnato al contralto castrato rimandavano al più antico genere dell’intrattenimento di corte barocco.

A Venezia, il Teatro la Fenice si è affidata per la realizzazione di Orfeo ed Euridice ad Ottavio Dantone per la parte musicale e a Pier Luigi Pizzi per la parte visiva. Dantone ha optato per la versione originaria di Vienna del 1762 riportando l'attenzione sull'essenzialità della proposta gluckiana ma nello stesso modo facendo percepire quanto ancora la sua musica fosse parte del suo tempo di quel barocco incisivo, ricco di sostegno ritmico esemplificato nell'ouverture, ma che passa in secondo piano lasciando ampio spazio al canto che si fa dramma intimo lirico. E su questa liricità esistenziale evocata dal mito di Orfeo ed Euridice che Pizzi riesce ad impostare un allestimento essenziale, ma efficace da punto di visto visivo ricorrendo a scene digitali, curate da Massimo Gasparon, evocative dei vari momenti dell'azione teatrale, ricostruita come un viaggio iniziatico di Orfeo volto al recupero del suo bene rubato. Sono spazi ideali rappresentati da cipressi cimiteriali di un Neoclassicismo stilizzato dove si piange Euridice, fiamme ostili nell’Ade pagano, e quel “puro ciel” degli spiriti beati. In mezzo, cieli plumbei che incombono sulla scena, ma che lasciano trasparire la serenità finale della pace tra cielo e terra con la vittoria dell'Amore sulla Morte e abilmente simboleggiata dall'apparizione della facciata stilizzata del Teatro La Fenice, qui vista come un ideale tempio classico. Linearità che si esemplifica in un abbigliamento molto semplice per gli artisti con Orfeo in un pratico completo nero tunica e pantaloni, un semplice abito bianco per Amore e Euridice; figuranti in nero in scena come i mini di Asolo Musica. Pregevole la presenza del coro, come anime perdute dell'Ade gestite come quinte corifere, che si inserisce come parte integrante e attore nell'azione musicale, ben preparato da Alfonso Caiani.

Tutto scorre sul palco e in orchestra con la giusta esuberanza di Dantone nell’ evidenziare quanto ci fosse di nuovo nella scrittura di Gluck, coesistente appieno con lo stile incisivo e strutturalmente ritmico della poetica barocca, ma nel contempo facendo intravedere la linearità di quel Classicismo che si stava imponendo nel complesso delle arti sia figurative che letterarie.

Vocalmente ben strutturato nelle parti dei protagonisti con l'Orfeo del mezzosoprano Cecilia Molinari, capace di evidenziare, con una sua voce ben strutturata nel centro, ma senza avventurarsi in sonorità cupe e gravi, gli elementi più lirici del canto di Orfeo già dalla scena e aria Chiamo il mio ben, proseguendo per il complesso dell'opera alla definizione dell'espressività più intima del personaggio fino alla fatidica Che farò senza Euridice. Cosi vale per Amore del soprano Sonia Frigato, in dialogo tra le parti, capace offrire una dimensione di giovinezza al suo ruolo, come significante Mary Bevan che definisce Euridice come un essere in sospensione tra spazio ultraterreno e terra.

Esecuzione che ha raccolto successo ed entusiasmo tra gli spettatori che hanno esaurito il teatro: uno spettacolo che se pur nella sua brevità, durata un'ora e 15, è stato capace di offrire anche al pubblico anche più sprovveduto, una sontuosa lezione di storia della musica. 

Federica Fanizza

Ultima modifica il Venerdì, 12 Maggio 2023 22:57

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