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OTELLO – regia Fabio Ceresa

"Otello", regia Fabio Ceresa. Foto Michele Crosera "Otello", regia Fabio Ceresa. Foto Michele Crosera

dramma lirico in quattro atti
libretto di Arrigo Boito
dalla tragedia Othello di William Shakespeare
musica di Giuseppe Verdi
prima rappresentazione assoluta:
Milano, Teatro alla Scala, 5 febbraio 1887
personaggi e interpreti
Otello Francesco Meli
Jago Luca Micheletti
Cassio Francesco Marsiglia
Roderigo Enrico Casari
Lodovico Francesco Milanese
Montano William Corrò
Un araldo Antonio Casagrande
Desdemona Karah Son
Emilia Anna Malavasi
maestro concertatore e direttore Myung-Whun Chung
regia Fabio Ceresa
scene Massimo Checchetto
costumi Claudia Pernigotti
light designer Fabio Barettin
video designer Sergio Metalli 
movimenti coreografici Mattia Agatiello
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Alfonso Caiani
Piccoli Cantori Veneziani
maestro del Coro Diana D’Alessio
mimi Luca Cappai, Maria Novella Della Martira, Claudia Floris,
Giovanni Imbroglia, Martina Marinelli, Rachele Montis, Samuel Moretti,
Francesca Petrolo, Martina Serra, Giulia Vacca
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
con sopratitoli in italiano e in inglese
Venezia, Teatro La Fenice, 26 novembre 2024

www.Sipario.it, 1 dicembre 2024

Nulla è dato di sapere come William Shakespeare sia venuto a conoscenza di una novella che riguardava la vicenda di un capitano Moro a Venezia, tratta dal poema Ecatommiti del letterato ferrarese Giradi Cinzio su vicende vere o meno di ambito veneziano, per trasformarla nel dramma di Otello. Narrazione assai particolar quella della vicenda del Moro di Venezia, in una Serenissima dogale dove tutto era possibile, dove l'imperativo era affidarsi a chi sapeva dominare gli avversari. Certo è che nel dramma shakespeariano Otello è un Moro, termine con il quale il colto suddito elisabettiano poteva intendere sia un arabo o un nord-africano sia coloro che oggi vengono chiamati neri, ossia le popolazioni dell'Africa subsahariana, o piuttosto quelli provenienti dalle terre dell'Egitto del sud a confine con l'Etiopia comunque si tratta di un soldato che proclama la sua fedeltà alla Repubblica di San Marco. Allestire l'Otello verdiano a Venezia è come rievocare nell'immaginario collettivo il fantasma del Moro di Venezia che si aggira per gli spazi della laguna, lui demandato dalla Serenissima come comandante e governatore di Cipro a sostenere l'impeto dell'avanzata Turca nell'Adriatico. Il duetto tra Otello e Desdemona del primo atto fa trapelare quale siano state le vicende umane del nostro protagonista, soldato e schiavo, cristiano, forse di quelle confessioni perdute tra i deserti ai confini del mondo, oppure convertito nel momento in cui offrì la sua spada a servizio di San Marco. Poco importa se non ha più la faccia tinta di nero come era in uso fino a che non è sormontata la polemica del blackface: la sua vicenda si fa cupa e scura come la notte che permea la storia fin dal primo atto, come nero è fondamentalmente l'animo di Jago.

Qui alla Fenice di Venezia come spettacolo inaugurale la Venezia il regista Fabio Ceresa ha optato per una diversa collocazione cronologica della vicenda ambientandola tra lo splendore dei mosaici di stile bizantini che dominano la Basilica di San Marco nella scenografia di Massimo Checchetto: in pieno medioevo piuttosto che nel sec. XVI, tanto i nemici di Venezia erano gli stessi, sia essi Saraceni o Turchi.

Colori smaglianti che ci restituiscono, l'iconologia di un polittici orientali attraverso i costumi di Claudia Pernigotti con angeli piumati che fanno da contorno ai personaggi dell'opera con l'immagine della giustizia che ornava il Bucintoro che troneggia a sancire la vittoria e con Otello che compare nell'impeto dell'Esultate come novello San Michele. Efficace la scena della tempesta con il coro vestito di blu che dà forma al mare come onde sullo sfondo una animazione costruita su immagini a mosaico. Il regista disegna un protagonista che sprofonda progressivamente in una follia, sentendosi mancare la lealtà delle persone che lo circondano da Cassio a Desdemona ai suoi commilitoni in un lento abbandono tra spire di una pazza gelosia.

Questa volta, cosa rara, funzionali i mimi, che ci restituisco delle Furie che progressivamente soverchiano il corpo e la mente di Otello; le stesse che compaiono accanto a Jago come ombre infernali, a volte soggiogate e disperse dalla forze dominante dell'effige del Leone marciano nei momenti di esaltazione della del potere, ma che riescono a sopprimerlo nel momento in cui il nostro protagonista soccombe alla sua gelosia e a distruggere la figura leonina, simbolo di questa autorità. 

Come chiara la direzione di Myung-Whun Chung, a capo dell'Orchestra della Fenice, che, nell'essenzialità del suo scarno gesto direttoriale, fa emergere la struttura compositiva complessa delineata da Verdi su cui il canto di adatta e si distende con tempi ad andamento sinfonico, in quel progresso e sviluppo delle dinamiche sonore che esprimono sentimenti e violenze. Il canto si posa su questa scrittura come forma drammatica spesso si trasforma in declamato melodico. La gestione di Chung è stata condotta nell'evitare di far cadere il canto nell’ eccedere nel parlato tenendo salde le file del canto e di sapersi muovere con esuberanza nei momenti di forza iniziali come nel concertato che chiude il terzo atto per poi allentare la tensione verso una tenuta di tempi lenti.

A dimostrazione il Credo momento di punta del Jago di Luca Micheletti che delinea quella che non è un'aria ma nemmeno un parlato. Qui il giovane baritono ha dimostrato la sua arte di canto, ben gestita nel controllo e nella emissione sempre pulita e morbida, voce che si fa subdola in un recitativo espressivo ricco di colore e di sfumati, dando forma ad un demone che tutto muove e che riesce a soggiogare con la sua personalità anche il protagonismo di Otello.

Questo Otello segna il debutto nel personaggio nella parte di Francesco Meli. Ruolo cercato e raggiunto dopo un percorso attraverso i vari ambiti della vocalità tenorile verdiana. Voce essenzialmente lirica, Meli ha offerto il meglio di sé nei momenti di canto spiegato che culmina nell' Esultate come Ora e per sempre addio, sante memorie, dove non servono sottigliezze espressive. Più in difficoltà Dio, mi potevi scagliar” dove viene richiesto più introspezione e canto legato che spesso gli sfugge come nella ricerca di frasi sussurrate e filate. Ma in complesso ha saputo tracciare la via ad un nuova dimensione vocale al personaggio, più lirica che spinta più intima e meno eroiche e di forza. 

Rimasta quasi schiacciata tra questi due pilastri la Desdemona del soprano coreano Karah Son. Voce certamente leggera, piuttosto che drammatica, ha condotta la sua prova in maniera prudente e corretta senza particolari slanci neppure alla grande assieme dell'invettiva. Attesissima quindi era nella scena del Salce e Ave Maria condotta con espressione lasciando trasparire una dimensione malinconica e patetica ma anche ingenua del personaggio di Desdemona. Coadiutore di una si fatta linea interpretativa lo stesso direttore coreano che ha guidato la voce del soprano nota per nota.

Affidabili le parti di contorno: più che corretto Francesco Marsiglia in Cassio come il Roderigo di Enrico Casari. Ben riuscita e di spessore l'Emilia di Anna Malavasi. A seguire il resto del cast con Francesco Milanese, Lodovico, e di William Corrò, Montano, affidabile Antonio Casagrande negli interventi dell’araldo. Funzionali i Piccoli Cantori Veneziani. Una menzione particolare il Coro del Teatro La Fenice istruito da Alfonso Caiani vero protagonista della scena iniziale dove diventa massa in movimento. 

Successo pieno per tutto il cast in un teatro esaurito e protagonista giustamente onorato e festeggiato dal pubblico al suo debutto nella parte con applausi convinti.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Lunedì, 02 Dicembre 2024 09:44

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