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VÊPRES SICILIENNES (LES) - regia Valentina Carrasco

"Les vêpres siciliennes", regia Valentina Carrasco "Les vêpres siciliennes", regia Valentina Carrasco

Musica di Giuseppe Verdi
Opera in cinque atti

Libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Prima rappresentazione assoluta, Théâtre de l’Académie Impériale di Parigi, 13 giugno 1855
Direttore Daniele Gatti
Regia Valentina Carrasco
Maestro del coro Roberto Gabbiani

Scene Richard Peduzzi

Costumi Luis F. Carvalho                                             

Luci Peter van Praet   

Coreografia Valentina Carrasco e Massimiliano Volpini
Principali interpreti
La duchesse Hélène Roberta Mantegna / Anna Princeva  
Ninetta Irida Dragoti*
Henri John Osborn / Giulio Pelligra 
Guy de Montfort Roberto Frontali / Giorgio Caoduro  
Jean Procida Michele Pertusi / Alessio Cacciamani
Thibault Saverio Fiore
Daniéli Francesco Pittari
Mainfroid Daniele Centra
Robert Alessio Verna
Le sire de Béthune Dario Russo
Le comte de Vaudemont Andrii Ganchuk*
* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma

con la partecipazione degli allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Teatro dell’Opera di Roma dal 10 al 22 dicembre 2019

www.Sipario.it, 22 dicembre 2019

Di Les vêpres siciliennes di Verdi, spettacolo che inaugura la nuova stagione operistica di Roma, colpisce soprattutto la direzione approntata da Daniele Gatti: possente e maestosa, precisa e dall’ampio respiro, che rende ottima ragione di una scrittura, come quella verdiana, complessa e al contempo in grado di essere ironica, leggera; di approfondire sentimenti quali amore ed odio; e di sorvolare, lieve come una brezza, su situazioni dure, tragiche e che creano dissidi dai quali è difficile districarsi. Lo stile di Gatti ben emerge anche dalle interpretazioni dei cantanti, i quali hanno padroneggiato una tecnica vocale che affronta ogni sfumatura – dagli acuti a tutto tondo, passando per un’emissione sottile che pian piano digrada verso lo spesso – e che bene hanno gestito il loro strumento, dimostrando di essere in grado – parafrasando il titolo della celebre biografia che Gabriele Baldini ha dedicato a Verdi – di abitare la battaglia.
Creazione imponente, scritta per la grand opéra parigina, Les vêpres siciliennes affronta la dura lotta fra libertà e potere. Cosa avviene se un tiranno oppressore scopre che fra il popolo che egli tiene stretto sotto un ingiusto giogo si trova suo figlio, il quale è fra i rivoluzionari che intendono sbarazzarsi dell’oppressore? È quanto accade a Guy de Montfort quando viene a sapere che Henri è il sangue del suo sangue. Anche quest’ultimo vive una condizione non meno imbarazzante, perché dovrà decidere se uccidere suo padre o salvargli la vita, rivelando l’attentato che il popolo siciliano sta tramando alle sue spalle. E che dire di Hélène, che per sventare la rivolta omicida capeggiata da Procida si troverà nella condizione di dover rinunciare al suo amore per Henri, pur di far sì che “non più guerre, tra amici, tra fratelli; risuonino”? Questa la domanda che, fuor di metafora, Verdi si pone: quale libertà esercitare: quella che travalica leggi e decreti privilegiando solo i sentimenti onesti e puri; o quella che rende ragione di orgoglio e principi, a dispetto di ciò che provano gli uomini e le situazioni impongono di considerare? Nodo impossibile da sciogliere in modo semplice. E Verdi adotta l’unica soluzione percorribile, quando nella conclusione del quinto atto, su ordine di Procida, nessuno viene risparmiato e i rivoluzionari si scagliano con violenza contro Montfort, Hélène ed Henri.
Di tale complessità, di simile dissidio non v’è traccia nella regia di Valentina Carrasco; la quale ha preferito svolgere l’intera vicenda di quest’opera verdiana sul piano dei sentimenti e delle interiori contese passionali che attanagliano i personaggi. Una versione, questa dei Vespri, esageratamente introspettiva, di stampo romantico, e che troppo sullo sfondo ha relegato l’aspetto storico-politico così caro al compositore.
Ne è emerso un Verdi da grand opéra più che dimidiato, le cui atmosfere parigine ottocentesche non sono riuscite a sopravvivere neppure nel ballo delle quattro stagioni nel secondo quadro del terzo atto.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Venerdì, 27 Dicembre 2019 18:09

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