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88 FREQUENZE – regia di Giulia Sangiorgio

Antonella Carone in "88 Frequenze", regia Giulia Sangiorgio Antonella Carone in "88 Frequenze", regia Giulia Sangiorgio

drammaturgia Eliana Rotella 
con Antonella Carone
scene e costumi Tommaso Lagattolla
luci Peppino Ruggiero 
video e sound design Andrea Centonza
contributi video Paul Guccione
assistente alle scene Antonella Voicu
costruzioni Damiano Pastoressa
produzione UNO&Trio e CORPORA
Tedacà, Torino, domenica 30 marzo 2025

www.Sipario.it, 31 marzo 2025

Partiamo per una volta dalla fine e da quel “credibilità” tra le ultime parole pronunciate da Antonella Carone prima di eclissarsi dietro il lungo telo bianco per sessanta intensi minuti schermo cinematografico come tappeto su cui muoversi: la credibilità per un attore è una scommessa spesso a perdere, è quel qualcosa su cui si investe durante lo spettacolo per portare il pubblico dalla propria parte, per conquistare la fiducia di spettatori mai visti prima. 

In uno spettacolo come 88 frequenze, drammaturgia di Eliana Rotella con regia di Giulia Sangiorgio, la credibilità è, a nostro parere, la chiave di lettura più importante per aprire la serratura di un racconto a due facce, omaggio alla figura di Hedy Lamarr ma anche riflessione su di un’arte attoriale vissuta in totale adesione alla più classica idea di straniamento. 

Non può, infatti, non esser credibile ed oltremodo affascinante (ri)ascoltare la parabola della Lamarr, hollywoodiana icona glamour di inizio Novecento almeno quanto geniale scienziata capace di sfruttare le proprie conoscenze ingegneristiche per dar vita ad un modello di frequenze radio, le ottantotto del titolo, utilizzate in ambito militare con esiti a dir poco rivoluzionari: parimenti il concetto di credibilità è al tempo stesso quel vulnus che, all’interno di logiche di genere e potere di una società maschilista, ha impedito alla Lamarr scienziata di veder riconosciuti, se non a tarda età, i frutti di studi giovanili da tutti ignorati, ambito decisamente più ingombrante del mito dell’attrice, nelle cronache del tempo “la donna più bella del mondo”.

Ed è proprio su questo crinale, cui si aggiunge la trattazione di temi universali come l’idea di legittimazione e di uguaglianza, che insiste la drammaturgia di uno spettacolo a lungo sedimentato, esito finale di un progetto collettivo cui hanno lavorato, forse non a caso, una drammaturga, una regista ed un’attrice: giocando a carte scoperte sin dall’inizio, l’interprete dichiara da subito di non voler mescolare il proprio io biografico al vissuto della Lamarr, Antonella Carone è testimone esemplare di un racconto che la vede entrare ed uscire dal personaggio, mescolare differenti piani temporali come diversi sono i codici utilizzati, la parola ma anche l’immagine di uno smartphone che da prospettive ora laterali, ora più frontali, riflette ansie e tensioni, speranze e sogni.

Non manca, e non poteva esser altrimenti analizzando l’esistenza della diva americana, un forte messaggio politico riassunto in quel “Perché lei? Perché io?” con cui, forse per l’unica volta, il vissuto delle due donne si sovrappone in un gioco di specchi che sbatte in faccia allo spettatore l’amara consapevolezza di non potersi facilmente sottrarre agli ingranaggi di un meccanismo malato con la stessa Lamarr vittima di pregiudizi e ingiustizie: da tutto questo come se ne esce? L’inscalfibile esempio di Hedy Lamarr, fino all’ultimo decisa a combattere la propria battaglia, non può che ancor oggi risplendere in tutta la sua luce, simbolo di ostinazione e coerenza, financo di quella credibilità da cui siamo partiti, che trasforma 88 frequenze in una splendida sinfonia teatrale con forza radicata nel presente, per quanto ispirata ad un passato solo in apparenza così lontano.

Roberto Canavesi

Ultima modifica il Martedì, 01 Aprile 2025 09:00

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