concept e direzione Gabriella Carrizo, Franck Charter
drammaturgia Nico Leunen, Hildegard De Vuyst
danza e creazione Seoljin Kim, Hun-Mok Jung, Marie Gyselbrecht, Jos Baker, Sabine Molenaar, Erudike De Beul
produzione Peeping Tom; coproduzione KVS Brussel, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt am Main, Le Rive Gauche Saint-Etienne-du-Rouvray, La Rose des vents - scène nationale Lille Métropole - Villeneuve d'Ascq, Theaterfestival Boulevard 's-Hertogenbosch, Theaterhaus Gessnerallee Zürich, Cankarjev Dom Ljubljana, Charleroi/Danses, Centre chorégraphique de la Communauté française de Belgique
un ringraziamento speciale a Théâtre de la Ville, Paris con il supporto di Flemish Government
Parma Teatro Due Spazio Grande, 20 novembre 2012
Cosa succede al numero 32 rue Vandenbranden? Accade che sotto un cielo invernale, in una landa desolata e innevata la vita e la disperazione siano spiate dalle finestre di tre prefabbricati, succede che morte e vita convivano in un divenire che toglie il respiro, succede che l'immaginazione possa prendere il sopravvento sulla realtà e che le relazioni siano prigioni da cui è impossibile uscire. Cosa accade in scena se non altro che l'assommarsi di situazioni di cui spetta allo spettatore ricomporre il senso, laddove il senso in questione non narra ma presenta condizioni d'esistenza. Il pianto di un bambino e la netta impressione che quel piccolo venga soffocato nella neve aprono 32 rue Vandenbranden. La figura di una donna androgina vistosamente incinta, un matrimonio che non può che richiamare alcuni quadri di Chagall, e ancora quelle scene di vita spiata da dietro le finestre dei tre prefabbricati che compongono la piccola comunità montana (?) richiamano alla mente alcune tele di Hopper. E poi c'è nella disperazione del volto di uno dei personaggi di quella comunità il richiamo all'Urlo di Munch, piuttosto, a particolari del Giudizio Universale di Michelangelo. Primaria fonte d'ispirazione per questo spettacolo è stata l'opera di Shohei Imamura La Ballata di Narayama, in cui un'anziana donna viene portata dal figlio a morire sulla sommità del monte Narayama, ma se questo è lo spunto, ciò che accade in scena è un intrecciarsi di relazioni, di conflitti fra quei personaggi che isolati vivono contrasti e sospetti non necessariamente reali, forse semplicemente immaginati, spiati appunto da fuori, da oltre quelle finestre che fanno parere cose come non sono. Gabriela Carrizo e Franck Charter costruiscono una partitura coreografica ed espressiva di rara intensità, fanno dei corpi dei danzatori/attori dei segni che scavano il disagio dell'anima, che denunciano solitudine e disperazione, che scoppiamo in atti di violenza e al tempo stesso appaiono in balia di un mondo e di uno spazio che nulla concede alla speranza e forse alla vita stessa. Quel cielo plumbeo sovrasta tutto e tutti, quegli uomini danzano la loro disperazione, il bisogno di relazioni, la condanna alla solitudine e lo fanno usando una fisicità nervosa, espressionista, incisa nello spazio. Manca il respiro assistendo a 32 rue Vandenbranden perché ciò che accade davanti agli occhi dello spettatore ha tutta l'indeterminata e feroce casualità del vivere a cui noi – per pura disperazione – cerchiamo di dare un senso.
Nicola Arrigoni