di Franz Kafka
Regia Eimuntas Nekrošius
Con Viktorija Kuodyté, Vygandas Vadeiša, Vaidas Vilius, Genadij Virkovskij
Scene Marius Nekrošius
Costumi Nadežda Gultiajeva
Aiuto regia Tauras Čižas
Musiche Arvydas Dūkšta
Luci Audrius Jankauskas
Attrezzista Genadij Virkovskij
Produzione Meno Fortas Theatre
con il sostegno del Consiglio di Cultura Lituano
Organizzazione Aldo Miguel Grompone, Roma
Teatro Bellini di Napoli, 19 aprile 2017
La cena perfetta: il digiuno. Le pareti domestiche come gabbia che stringe l'artista nella sua esibizione di disciplina, mentre alcuni guardiani divengono benevoli aguzzini o custodi di una fiamma eterna per offrire al pubblico risposte adeguate a legittimi sospetti. Ascesa e declino, come è necessario, per il virtuoso della fame, prima sommerso da premi e diplomi, poi costretto a trascinarsi stancamente, al culmine della sua arte, in un degradato circo di periferia. Per raggiungere la vetta più lucente, vittoria di Pirro in un mondo scostante e indifferente.
Un allestimento superbo per lo stratificato testo finale di Franz Kafka, Un digiunatore: dopo la prima italiana al Festival di Spoleto, è il Bellini di Napoli ad ospitare l'ultimo lavoro firmato dal genio lituano Eimuntas Nekrošius, laboriosa ricerca - fuor di banalità - sul senso stesso dell'attività teatrale e del lavoro culturale. Allargate le maglie dell'insoddisfacente routine commerciale, le evoluzioni del digiunatore segnano una distanza incolmabile con un pubblico ammaliato da comicità demente e ferinità adrenalinica, crudele e primitiva: come un sacerdote pagano, rimasto ancorato ad un culto in dismissione, l'artista raggiunge un inutile nirvana che sfocia inevitabilmente nell'oblio. Dopo le scanzonate battute iniziali, quando la digiunatrice Viktorija Kuodyté percepisce il vento di un favore che non è ancora autentica venerazione, il percorso attraversa luoghi comuni (i premi, la richiesta di applausi), rinunce, spiegazioni scientifiche e tragicomiche ritualità, preludio al divorzio con l'impresario Vaidas Vilius, generoso carceriere con movenze da gangster à la Kaurismaki. L'approdo al circo, un contesto di gruppo in cui il singolo è costretto a condividere l'ultimo bagliore di gloria, è la tappa finale di un tragitto che solo all'esterno può apparire claustrofobico e insensato: necessario invece, forse un memento mori che regola i conti nella prometeica sfida per la conoscenza. In questo senso il giaciglio di diplomi, oramai superati in una corsa verso l'assoluto che non può essere scandita da istituzioni umane.
Solo umili oggetti in scena, piccole intuizione che fanno emergere l'universale dall'infimo particolare: a nobilitare l'insieme la prova dell'attrice lituana, brillante folgorazione di un Nekrošius che regala ad un testo kafkiano una protagonista degna delle suggestioni del Balzac più sensuale. Tra un charleston e irridenti gestualità slapstick, l'omaggio al cinema muto riecheggia l'incanto di un mondo al tramonto: l'arte, vanità di vanità.
Domenico Colosi