di e con Marco Paolini
testi: Gianfranco Bettin, Marco Paolini
Produzione: Jolefilm
Milano, Piccolo Teatro Strehler dal 28 novembre al 10 dicembre 2017
Un "racconto di fantascienza a teatro", sintesi di un testo più completo e organico, può suscitare nello spettatore gli stessi stimoli e interessi del libro da cui è tratto o della sua trasposizione in film? La risposta non è semplice e presuppone ragionamenti ponderati che certamente non possono dare esiti univoci. La fantascienza non è sempre un genere facile alla lettura, per piacere deve avere un supporto scientifico e possibile espresso attraverso una scrittura affascinante che possa attrarre anche chi di tale genere non è appassionato. Chi legge ha sempre un certo tempo per elaborare le parole, entrare in medias res e costruirsi a poco a poco un proprio mondo fantastico, chi sceglie un film accetta la rielaborazione fantastica che gli viene offerta anche per il fatto che lo spettatore in genere non è in grado di crearsi una pellicola alternativa a quella che sta vedendo. Le difficoltà aumentano in presenza di temi fantascientifici in cui occorre rielaborare una sintesi tra fantasy e un futuribile scientifico che per essere coinvolgente deve avere qualche riscontro nella realtà come a volte accade. Certo Paolini è un ottimo affabulatore e la sua dialettica sa essere adescante in spettacoli che finora hanno illustrato la società tale quale è con vizi e virtù a partire dal monologo teatrale del 1993 sul Vajont, ma non è sufficiente a fare capire le motivazioni senz'altro encomiabili che hanno spinto lui e il coautore a trattare l'argomento di un futuro non troppo lontano in cui lo sviluppo tecnologico non possa essere considerato solamente un miglioramento del presente, anche se in effetti ogni epoca rispetto alla precedente reca un cambiamento evolutivo o involutivo: si lascia l'ardua risposta ad altri, anche se non dispiace sposare la teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici per la sua positività e il suo ottimismo. Resta la necessità, direi quasi l'urgenza di dovere leggere il libro prima di andare a vedere lo spettacolo, fatto che non cancella la certezza che raccontare la fantascienza sia un'impresa ardua e di non facile comunicativa. Bello avere messo in forte evidenza il fatto che l'uomo, in particolare Ettore (un fotoreporter di guerra) si possa affezionare come un padre amoroso e protettivo anche a un bimbo misterioso e tenerissimo nel suo volere apprendere con estasiata e gioiosa meraviglia, un fanciullino dotato di un'intelligenza artificiale talmente evoluta da avere sviluppato una coscienza, un protagonista che non è frutto di un amore vissuto e che non è esattamente o completamente umano: ma non ci si lega forse anche ad animali e oggetti dando loro valenze e valori umani? Si avverte chiara e manifesta la preoccupazione per la rapida evoluzione che rischia di impoverire l'uomo rendendolo subalterno alle macchine: ma non siamo già parzialmente disumanizzati dall'avere perso la spontaneità e dal considerare l'altro uno strumento per il nostro tornaconto e raramente per quello che è e che prova? Che paura può fare un'intelligenza artificiale con una coscienza se l'uomo sempre più ansioso di essere innovativo sta perdendo la propria? Non è molto più grave del potere comprare le capre su Amazon e stamparle in 3D? Wanda Castelnuovo
Un esempio di tale difficoltà soprattutto per lo spettatore non appassionato è ascoltare Le avventure di Numero Primo, sintesi (già sufficientemente lunga e ampia) di un romanzo di cui si devono necessariamente ignorare molti passaggi che ne renderebbero più facilmente leggibile il significato tanto che gli stessi autori Gianfranco Bettin e Marco Paolini nelle note allo spettacolo rinviano al romanzo per trovare risposte a quesiti che possono nascere nello spettatore.