da Clotilde Marghieri
con Licia Maglietta
arpa Diane Peters
regia, drammaturgia e scene Licia Maglietta
luci Cesare Accetta
video Massimo Maglietta
produzione Fondazione Campania dei Festival
Teatro Piccolo Eliseo di Roma dal 6 al 30 dicembre- In tournée da metà gennaio 2019
L'attore, come il poeta, è un 'fingitore' di poesia
Tratto dall'omonimo romanzo di Clotilde Marghieri (apparso in libreria circa vent'anni fa) "Amati enigmi" è – in modo quasi 'spudorato', disarmante, autobiografico- una sorta di viaggio auto introspettivo "verso la tristezza e l'ndicibile". Cui Licia Maglietta si abbandona con verve e furore, vezzosità fremente e furibonda "accettazione" del tempo trascorso e ancora fluente. E con la severa, affabile, persino illanguidita (con se stessa severa) necessità di trarre un bilancio professionale ed esistenziale di ciò che è stato e di ciò che nessuno di noi può dirsi "certo" che (mai più) accadrà.
Motivo per cui, a titolo personale, sconsiglio e diffido di coloro che, sulla scena o ad un cero tratto dell'esistenza "ostile" (uso volutamente un aggettivo freudiano), mirano a delineare bilanci severi e "conclusivi" del come e del quanto ci è stato dato in sorte di partecipare nell'assurdo convivio della vita: per alcuni (privilegiati?) amabilissimo, per altri (inetti?...un'eresia) tribolatissimo e privo di adeguata "mercede" (dal destino?...una consolante idiozia). Liddove sarebbe meglio che il 'prospetto', il resoconto del relazionarsi, lavorare, gioire o patire (per amore o quant'altro) avvenissero per determinate e non lunghissime stagioni di vita.
I tempi e i modi di "Amati enigmi" cadono – stando al calendario- nei giorni più adatti e 'ipersensibili' a certo incantesimo del dolore. Poiché qui si immagina che nella notte di un qualsiasi Capodanno, la protagonista (monologante) indirizza una ustionata, accorata missiva (allusioni, fierezze, scoramenti) ad un "misterioso interlocutore" di nome Jacques, interrogandosi "sul tempo trascorso più o meno insieme" e sul significato che esso "proietta sul suo presente". Ammesso che lo proietti davvero e non per debordi di fantasia.
Al cuore dell'autoanalisi – che sa essere spigolosa e 'innamorata', come cellula dormiente di certo "mal de vivre"- non possono che riaccendersi i ricordi delle 'diverse età' (annotate per diario), consapevoli che la moviola del tempo difficilmente potrà riconciliarci con quella 'terra straniera' che, per convezione, definiamo passato- con l'additiva presunzione di darvi senso compiuto e riconciliante (verso chi? Verso cosa?). Sino alla "realizzazione" finale dell'effimera (nichilista?) casualità che pare governi i nostri tempi "di terra", avendo spesso dimenticato quelli da dedicare "al mare" e ai suoi abissi.
Quanto alla cara e bella Licia Maglietta è inevitabile, con il passare del tempo (diverso da quello di "Pane e tulipani", di "Agata e la tempesta") è inevitabile che il suo il suo insofferente 'bilancio' d'attrice (e di donna) non possa che essere il dialogo "tra attore e spettatore" che delinea – anche per lei e in parallelo – un percorso speleologico fatto di luci e di ombre, di accensioni e disincanti: com'è normale che sia per ciascuno di noi. Da cui, ricordava Pessoa, ci si salva (si tenta di...) solo riuscendo a trasformarsi in 'poeta-fingitore' di se stesso.
Silenzio e parole dal palcoscenico disadorno, armonizzati da schegge musicali (modulate sobriamente dall'arpeggiare di Diane Peters) concorrono a imbastire il mite contorno di quello che potrebbe (anche) essere un interminabile e mai esauriente colloquio con il proprio ego. Cui non si sa quando è "meglio" apporre la parola fine. E, per chi vi riesce, tornare alla vita vissuta (velleità perdonabili e annesse).
Facendo però i conti con le "trappole di immaginazione e di Narciso", di cui il monologo è disseminato (come fu per "Delirio amoroso" recitato dalla Maglietta tanto tempo fa): causa di alcune dissonanze, artifizi, improvvise sdolcinature – di sufficienza o reticenza- donde il sospetto che la manipolazione di eloquio, virtuosismo, sofisticato ("affatturante") fascino mediterraneo volgano al (segretissimo) rito scaramantico di un 'viale del tramonto', temuto ma molto di là da venire. Garantito.
Angelo Pizzuto