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 - regia Daniele Finzi Pasca

AZUL - GIOIA, FURIA, FEDE Y ETERNO AMOR
 - regia Daniele Finzi Pasca

"Azul", regia Daniele Finzi Pasca. Foto Jarno Iotti "Azul", regia Daniele Finzi Pasca. Foto Jarno Iotti

di Daniele Finzi Pasca
con Stefano Accorsi, Luciano Scarpa, Sasà Piedepalumbo, Luigi Sigillo
scene Luigi Ferrigno
costumi Giovanna Buzzi
disegno luci Daniele Finzi Pasca
musiche originali Sasà Piedepalumbo
regia Daniele Finzi Pasca
produzione Nuovo Teatro, in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
Vicenza, teatro Comunale, 29 e 30 marzo 2022

www.Sipario.it, 4 aprile 2022

Uno spettacolo che unisce poesia e prosa avvicendando lo spettatore nei meandri onirici della vita, tra sarcasmo, ironia, e allegria velata dai malinconici sguardi che i personaggi danno alle loro storie. Quattro amici affiatati, appassionati di calcio, di “maglia” della propria squadra sono il simbolo di più sentimenti appartenenti all’uomo, uniti dal forte, indissolubile legame dell’amicizia sincera. Il testo è di Daniele Finzi Pasca, anche regista, ed è surreale e pieno di trovate, salvo qualche momento di stallo e quella fuoriuscita di cui inseguito palerò.“Azul” è ovviamente l’azzurro in quella Montevideo che li ha visti, allo stadio, protagonisti discussi di un avvenimento che si sfiora ma che nei loro cuori si annida prepotente, ed esce allo scoperto. Ed è in quegli incontri fra loro che cercano di smaltire il dovuto, in una sorta di autopsicanalisi vis a vis. La cosa che salta all’occhio è il richiamo continuo alle madri, figure assenti nella loro vita, che creano sofferenza e quella sorta di malinconica ripresa dopo i divertimenti narrati e vissuti. I quattro hanno dei soprannomi che in qualche modo suggeriscono e amplificano forse i loro stati, Pinocchio, che poi è Pino, ma del burattino racconta su se stesso molti aspetti, Golem, Adamo e Frankenstein. Un tiro a dadi gigantesco è la loro vita, quello che di giorno in giorno si raccontano, il calcio, la fede spassionata contrapposta ai giorni che passano, metafora dell’esistenza vissuta con abbaglio, seguito vero, sincero. I loro archetipi segnano lo scorrere del tempo, è un confronto continuo, una purificazione che cercano tra loro che passa proprio per il calcio, metodo in un certo senso ambito per la leggerezza, che a sua volta però si fa altra e alta febbre, risonanza, che di loro si impadronisce e impasta i ricordi, gli affetti mancati, le storie e gli aneddoti. Stefano Accorsi è Pino detto Pinocchio, ed è molto ben coadiuvato dagli altri tre interpreti, Luciano Scarpa, Sasà Piedepalumbo e Luigi Sigillo che si dimostrano validi musicisti, suonando note che accompagnano i loro risvolti, i pugni e le carezze ricevuti e date. Il percorso di Stefano Accorsi è sempre più interessante, è un attore che non bada al frivolo e lo dimostra anche qui, rischiando a suo modo nonostante la fama e il fascino che attare sempre molto pubblico femminile. Le sfumature cercate danno quasi sempre risultati, come del resto rimangono a loro agio perfettamente i suoi tre colleghi, in questa parabola di parole sull’amicizia, tra manichini di carabinieri (ecco che torna Pinocchio, appunto) dove ci si può inserire, nuvole giocose e inquietanti alternate nel maxischermo posizionato sopra loro, un gioco di scena d’impatto, ombre cinesi, vele che si alzano come nel mare in bufera, luci blu e ocra che delineano ancor più i racconti. Quello che stona, che va fuori dal circuito e non c’entra nulla è il disquisire colloquialmente col pubblico sulla data di concepimento, che stride con la poesia, esce troppo fuori dai binari teatrali e in questo contesto non è piacevole vedere anche perché, poi, si riesce a fatica a rientrare in quei binari, che tornano a parlare di poesia e sogno e anche di corsie d’ospedale, di turni notturni e sofferenza, di inneggiante vita, e del teatro, in fin dei conti. Il crescendo di tutto, con quel canto coinvolgente, le luci addosso, non faticano a trovare un consenso assoluto, in un clima di festa ubriacante.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Giovedì, 07 Aprile 2022 11:59

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