di Samuel Beckett
traduzione Carlo Fruttero
regia, scene, luci e costumi Theodoros Terzopoulos
con (in o.a) Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano e Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola
musiche Panayiotis Velianitis
consulenza drammaturgica Michalis Traitsis
assistente alla regia Giulio Germano Cervi
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini,
in collaborazione con Attis Theatre Company
al teatro Comunale, Casalmaggiore (Cremona), 21 gennaio 2023
In sottofondo le sirene degli allarmi aerei che ci sono diventate familiari con la guerra in Ucraina. Nel centro del palco un parallelepipedo nero antracite che si apre orizzontalmente e verticalmente, disegnando una croce. Questo il colpo d’occhio e uditivo di Aspettando Godot di Samuel Beckett, liberamente riscritto e interpretato dalla regia di Theodoros Terzopoulos.
Quella scatola è mondo e prigione per Estragone e Vladimiro che dicono di attendere Godot, che vorrebbero andare, ma poi ristanno. In questo spazio l’immagine si fa corpo e il corpo degli attori svapora in visione. Il regista greco usa il testo di Beckett, lo riplasma e ne fa la colonna verbale di una installazione d’arte che mostra un’umanità che sanguina, un’umanità crocifissa in cui i chiodi sono parole infisse nell’anima, sono parole che dicono di un vuoto angosciante e in cui il parlare non è un dialogo, ma un monologo inascoltato, fatto di interrogativi senza risposta. L’albero a cui i due barboni vorrebbero impiccarsi è un piccolo bonsai in proscenio, la corda a cui i due vorrebbero appendersi è una fila di coltelli che cala dall’alto e in chiusura una serie di quadernini insanguinati dopo che ragazzo è comparso sfogliando – ovvero strappando i fogli – di un copione destinato a esaurirsi nel gesto dello strappo.
Aspettando Godot di Terzopoulos è una macchina teatrale che chiede all’occhio dello spettatore di abbandonarsi alle composizioni che attori e spazio scenico definiscono in un’attesa senza soluzione alcuna, in un invito a raggiungere un altrove immancabilmente disatteso, così come la venuta di Godot che spetta al ragazzo annunciare che Godot non verrà. Che lo si voglia o meno la suggestione del simbolo della croce non solo pervade l’intero allestimento, ma ne è sostanza. Lo è nel disegno luminoso che separa i quattro parallelepipedi che compongono la scatola scenica, lo è nel calare di una croce bianca che compone un tableau vivant in cui Estragone e Vladimiro sembrano essere in adorazione di un Cristo di cui si scorge solo il volto ed è quello del ragazzo chiamato anegare l’annunciazione della venuta di Godot. La croce sta nell’intreccio fra un piano orizzontale in cui stanno distesi e schiacciati Estragone e Vladimiro e nel piano verticale in cui compaiono Pozzo, Lucky e il ragazzo.
In tutto questo a Enzo Vetrano e Stefano Randisi – rispettivamente Estragone e Vladimiro - mettono in atto una recitazione secca, tagliente. La tensione dei corpi riflette quella verbale, ma non mancano le tenerezze, il bisogno che l’uno ha dell’altro, una dipendenza reciproca che soffoca e salva al tempo stesso. Gli altri personaggi sono visioni, apparizioni, più che presenze. Lo sono Paolo Musio (Pozzo) e i giovanissimi Giulio Germano Cervi (Lucky) e Rocco Ancarola (Ragazzo) cui sono affidate partiture fisiche di grande rigore mimico. Il sangue che vomita Lucky, l’atto compulsivo dello strappare i fogli del libro (il copione o la Bibbia?) messo in atto dal Ragazzo sono il segno di una tensione che si riflette e si chiama nella mimica straniata, nervosa dei corpi di Vetrano e Randisi in perenne tensione. E allora Aspettando Godot di Beckett altro non è che il terreno di gioco in cui il greco Terzopoulos si confronta col portato giudaico/cristiano della cultura occidentale che attende alla ricerca necessaria di un senso da dare alla nostra esistenza, di offrire un cammino da percorrere, immaginare un senso al nostro stare al mondo
Ciò che regala Aspettando Godot di Terzopoulos – spettacolo prodotto da Emilia Romagna Teatro – è una possibilità di leggere oggi Beckett in cui l’incomunicabilità e il deserto del nostro vivere sono concentrati in una visione barocca e notturna che soffoca e inquieta, che mostra la debolezza di un genere umano in balia di sé stesso e in attesa di Godot… una cieca speranza che è destinata a restare disattesa.
Nicola Arrigoni