ENZO DECARO in
L’AVARO IMMAGINARIO
Tratto da Molière/Luigi De Filippo
adattamento e regia di Enzo Decaro
con Nunzia Schiano
e Luigi Bignone, Carlo Di Maio, Massimo Pagano, Fabiana Russo, Ingrid Sansone, Giorgio Pinto.
Musiche Nino Rota (da “Le Molière immaginarie”)
Scene Luigi Ferrigno
Disegno Luci Luigi Della Monica
Costumi Ilaria Carannante
Produzione I due della città del sole
Debutto Campania teatro festival 30 giugno 2023 villa Floridiana Napoli
Passano i secoli ma il genio di Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, continua a destare ammirazione e stupore. Molti artisti si sono ispirati alla sua genialità ed inventiva; oggi Enzo De Caro interpreta e dirige “L’avaro immaginario” uno spettacolo in sette quadri, un prologo e un epilogo lungo un atto unico, che ha debuttato nel Campania teatro Festival trovando una collocazione perfetta nella Villa Floridiana.
Il tutto prende spunto dalla grande attualità di Molière, ammirata anche i De Filippo che, in un periodo non breve della loro vita, hanno studiato il grande artista francese.
“L’Avaro immaginario” è soprattutto il viaggio, reale e insieme immaginario, di Oreste Bruno, da Nola, e della sua famiglia che permette al pubblico di conoscere Molière, ma anche la situazione politica del paese nel Seicento.
Alla base dello spettacolo c’è una idea funzionale che è quella di mostrare il mondo del Seicento attraverso il viaggio di questa compagnia; durante il percorso avvengono incontri che svelano pezzi della società francese dell’epoca che s’inseriscono molto bene con quella partenopea. Esiste, infatti, una forte connessione tra il mondo culturale e teatrale della Napoli di quel tempo (con Pulcinella che diventa Scaramouche) con quella francese, di Molière ma forse ancor più di Corneille che si celerebbe sotto mentite spoglie dietro alcune delle sue opere maggiori.
Un congegno perfetto, quello proposto da De Caro, in cui tutti i tasselli combaciano: gli attori Nunzia Schiano, Luigi Bignone, Carlo Di Maio, Massimo Pagano, Giorgio Pinto, Fabiana Russo, Ingrid Sansone e , ovviamente, Enzo de Caro, con la loro bravura rendono quel senso di precarietà tipica delle compagnie di giro seicentesche che affrontano mille difficoltà, uniti nel loro vagabondare, sempre in lotta per mettere il piatto a tavola, ma guidati dall’amore per il teatro vissuto anche con grande spontaneità, ed umanità. Ma come in tutte le famiglie i sogni e i bisogni dei vari componenti non sempre collimano e quindi bisogna affrontare anche le scelte personali, che in molti casi, come in questo, portano alla divisone del nucleo familiare che porta allo scioglimento della compagnia.
Nunzia Schiano, come di consueto, restituisce un personaggio sfaccettato in cui convivono momenti comici con altri di grande lirismo e malinconia; De Caro ha costruito su di sé un personaggio in cui i sogni si confrontano con la realtà quotidiana: scrive lunghe lettere a Molière, che non verranno mai spedite, ma lui non lo sa, ed in questa lunga corrispondenza racconta l’arte ma anche la quotidianità, permettendo al pubblico di conoscere eventi e modi di essere della società seicentesca.
Su tutto aleggia la pesante eredità del pensiero di uno zio prete di Oreste Bruno, Filippo detto poi Giordano, scomparso da alcuni decenni ma di cui per fortuna non si ricorda più nessuno. I riferimenti a Giordano Bruno arricchiscono il testo e lo rendono ancora più interessante.
La regia è curata ed elegante, ricca di controscena ed ‘a parte’ che sottolineano la perfetta sintonia tra gli attori. Il finale, poi, è davvero un piccolo gioiello di lirismo e bravura.
La scena di Luigi Ferrigno con il carretto dei comici che accompagna ogni quadro è funzionale ed accompagna il racconto molto bene, le musiche di Nino Rota (da “Le Molière immaginarie”) accompagnate da alcune villanelle e canzoni popolari, sono un balsamo per le orecchie e sono perfette per la storia. I costumi di Ilaria Carannante, studiati fin nel minimo dettaglio, restituiscono visivamente il clima dell’epoca immersi nelle splendore delle luci di Luigi Della Monica.
Forse delle parti andrebbero accorciate a vantaggio della durata complessiva e dell’efficacia del lavoro.
Roberta D’Agostino