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ANIMALI SELVATICI – regia di Paola Rota

"Animali Selvatici", regia Paola Rota. Foto Andrea Macchia "Animali Selvatici", regia Paola Rota. Foto Andrea Macchia

regia di Paola Rota
scritto pensando a L’anitra selvatica di Henrik Ibsen
testo Alessandro Paschitto
con Sara Mafodda, Irene Petris, Edoardo Ribatto, Giuseppe Sartori
scene e luci Nicolas Bovey
suono Angelo Elle
costumi Ursula Patzak
creazioni tessili delle visioni Matteo Thiela
direttore di scena Stefano Orsini
datore luci Umberto Camponeschi
fonico Francesco Dina
sarta Augusta Tibaldeschi
assistente alla regia tirocinante Riccardo Iellen
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato
Teatro Astra, Torino, mercoledì 20 novembre 2024

www.Sipario.it, 21 novembre 2024

A colpire nella locandina è la dicitura “scritto pensando a…”, curioso input dato allo spettatore che gli ottanta minuti di spettacolo rivelano essere suggerimento quanto mai prezioso: Animali selvatici, piéce diretta da Paola Rota su testo di Alessandro Paschitto, immaginata sulle tracce de L’anitra selvatica di Henrik Ibsen, dal copione del drammaturgo norvegese segue la sottotraccia salvo poi distaccarsi con un finale del tutto ribaltato rispetto l’originale.

E quel “pensando” che campeggia in bella mostra rilancia all’idea di pensiero, elemento cardine di un racconto che vede Hjalmar, Gina e la loro figlia Hedvig, nel giorno del suo compleanno, ricevere l’inaspettata visita di Gregers, conoscente di lunga data pronto a palesarsi dopo tempo immemore: una marea di pensieri, più che di azioni, invade lo spazio scenico immaginato da Nicolas Bovey, gabbia spoglia al cui interno, alla stregua di belve ferite, si muovono personaggi depositari di scomode verità, forse segreti, di cui l’inaspettato arrivo di Gregers sembra essere l’elemento rivelatore.

Pensieri e verità vanno di pari passo in un collettivo gioco al massacro dove la madre sa ma non dice, l’ospite intuisce ma non si azzarda, il padre con affanno brancola nel buio: in questo mare magnum di “io so, ma forse no, ed in ogni caso taccio”, l’unica certezza è la totale non conoscenza di Hedvig, voce fuori dal coro vittima di un’oscurità tanto intellettuale quanto fisica per la forma di progressiva cecità destinata a spegnerle gli occhi. Solo lei troverà coraggio e forza per uscire dalla gabbia e, da posizione defilata, quasi nascosta, osservare le mosse di una partita a scacchi dove tutti sono vittime e carnefici, tra pacchi che arrivano, tentativi di seduzione e improvvisati dialoghi a ridisegnare scenari di un lontano passato: imbracciato un fucile, bestia tra le bestie, Hedvig consumerà la sua ideale vendetta ponendo fine alla proiezione di un incubo in cui agli occhi dello spettatore ognuno si è palesato nella sua animalità.

E di pensiero in pensiero, Paola Rota ambienta il tutto in una stanza anonima, luogo della mente più che spazio fisico, al cui interno dar forma a visioni e pulsioni dell’oggi, universalizzando un messaggio che porta ad identificarsi con personaggi vittime di insanabili ossessioni e tormenti: se Irene Petris, Edoardo Ribatto e Giuseppe Sartori popolano ed abitano il mondo dei grandi, Sara Mafodda incarna gli istinti adolescenziali di una ragazza desiderosa di verità, pronta con il flash di una macchina fotografica ad imprimere nella memoria collettiva gesti e comportamenti destinati da ultimo a svelarsi in tutta la loro drammaticità.

Bravi ed applauditi gli interpreti in un’operazione che sbatte in faccia allo spettatore dinamiche relazionali non così lontane da quanto ogni giorno è possibile apprendere sfogliando un giornale o accendendo la televisione: è proprio questo l’ennesimo pensiero che ci accompagna all’uscita dalla sala quando, rivolgendo di nuovo lo sguardo alla locandina che ci aveva incuriosito all’ingresso, quel “scritto pensando a…” suona ora come inquietante presagio di scomode realtà.

Roberto Canavesi

Ultima modifica il Venerdì, 22 Novembre 2024 17:12

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