uno spettacolo di e con Filippo Timi
e con Lucia Mascino, Marina Rocco, Elena Lietti e Gabriele Brunelli,
luci Oscar Frosio, direttore di scena Mattia Fontana,
elettricista Federico Calzini, cura del suono Emanuele Martina,
sarta Giulia Leali, scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti,
costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti,
assistente alla regia Beatrice Cazzaro
Produzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana.
Al teatro Ivo Chiesa di Genova, Ospite del Teatro Nazionale di Genova dal 2 al 5 gennaio 2025
Hic sunt leones, questo sembra pensare del teatro, come idea ma anche come 'luogo', Filippo Timi che infatti concepisce quale 'scenario' di questa riedizione/revisione del suo spettacolo di esordio alla regia nel 2015 una gabbia da circo in apparenza senza leones (e solo in apparenza) ma soprattutto senza più domatori. Amleto [al quadrato] è così (ma sempre all'apparenza) uno spettacolo senza controllo, è uno Shakespeare esploso, anzi che esplode nel qui e ora davanti ai nostri occhi mentre le schegge incandescenti di quel meccanismo esplosivo (un po' ricorda certe scritture d'avanguardia del teatro dell'ultimo novecento) ricadendo si ricompongono man mano in qualcosa che è sempre e inevitabilmente Amleto, ma che è anche qualcos'altro ovvero qualcun'altro (noi?). D'altra parte questo è uno spettacolo figlio di una famiglia allargata o meglio, come si direbbe oggi, di una famiglia 'arcobaleno', uno spettacolo con molti padri e molte madri dunque (e di conseguenza con molte 'lingue' madri) e non solo il teatro elisabettiano (che anche attraverso la farsa 'faceva passare' la tragedia), a partire dalla 'Commedia dell'Arte' con i suoi molto fisici e molto amari 'sghignazzi', e giù, giù, sorridendo e ridendo a denti stretti fino al Cabaret wedekindiano, icasticamente scenografato dai quadri di George Grosz, che accompagnava un mondo che si avviava al doppio rogo delle guerre del novecento triturato dai denti aguzzi del capitalismo bellico (purtroppo di nuovo attuale). Una gabbia di 'matti' dunque, che Filippo Timi utilizza per rompere lo schema shakespeariano decomponendolo quasi nei sotto-schemi su cui è costruito, apertamente o in sottotraccia, ed in cui la pazzia portata in primo piamo e divenuta protagonista è la chiave per decifrare la nostra egoista e volgare 'normalità', sia individuale che sociale, mentre un domatore nascosto e fuori scena si preoccuperà alla fine di portare via 'cadaveri' che non dobbiamo piangere perché sono solo lamenti e maschere idiote, direbbe il Bardo. C'è dunque una logica molto teatrale in questo esplodere shakespeariano, in cui trova posto anche il legame 'assurdo' (tale in quanto vera e propria dimostrazione per absurdum) tra il fantasma del Padre e la dolente anche se sorridente Marilyn Monroe che lo rappresenta in scena, evocando complessi edipici e patriarcati che divorano sé stessi ma soprattutto mettendo in collegamento due epoche sotto la comune egida dello show. Un'idea drammaturgica interessante ed esteticamente ponderata che 'teatralmente' cerca con una certa efficacia il gradimento del pubblico, che in effetti lo esprime spesso, abituato come è a certi meccanismi reattivi più televisivi che teatrali, quelli della gag per intenderci (gag che paradossalmente ma non troppo indica in inglese la 'battuta' ma anche il 'bavaglio'). Restano così a volte sovrastati, anche 'sonoramente', i richiami più universali e fin metafisici di cui il percorso scenico è qua e là arricchito, dai mondi gnostici di shakespeariana memoria alla fisica quantistica, a segnare l'incertezza e l'inconoscibilità profonda del reale (interiore ed esteriore) quando il nostro sguardo, appunto guardandolo, inevitabilmente lo modifica e ce ne allontana inesorabilmente. Comunque una commedia tragica, o meglio una tragedia comica, assai agra come la vita di un famoso romanzo, nella quale ciò che emerge sulla sua superficie colorata e rumorosa è come detto quella sorta di involgarente degrado 'egotico', prima psicologico poi etico, che caratterizza questa nostra Società fluida e senza valori che non siano il denaro o il potere. In questa nuova 'commedia' anche valori fondativi, come l'amore o i rapporti genitoriali di qualunque genere, appaiono così degragati, in fondo solo occasione di scherno e di una nevrotica risata che nasconda la nostalgia e l'assenza. Nel complesso, per concludere, uno spettacolo apprezzabile e con spunti di una certa profondità, forse talora 'troppo' gradevole e con qualche 'ammiccamento' di cui non credo che il Timi attore, regista e drammaturgo, e con lui tutto il cast a partire da Lucia Mascino e Marina Rocco, avesse e abbia bisogno. La grande sala del teatro Ivo Chiesa sufficientemente riempita e il pubblico presente ha intensamente partecipato esprimendosi inusualmente con applausi a scena aperta e molti richiami alla chiusura del sipario. Maria Dolores Pesce