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A TRUE STORY: DITTICO IN BIANCO E NERO - regia Francesca Bisutti

A true story - Dittico in bianco e nero A true story - Dittico in bianco e nero Regia Francesca Bisutti

Testi da Kate Chopin e Mark Twain
Ideazione Francesca Bisutti
Con Eleonora Fuser
Traduzione Claudia Russo, Consulenza drammaturgica Piermario Vescovo, Consulenza musicale Anna Barattin, Luci Cristiano Colleoni
Teatro Ca'Foscari, Venezia 6 febbraio 2013

www.Sipario.it, 11 febbraio 2013

A true story - dittico in bianco e nero è un progetto teatrale nato in seno all'Università Ca'Foscari di Venezia ed è inserito nella programmazione Molecole -stagione parallela a quella di teatro contemporaneo Sussulti, ancora- che si propone di mettere in scena iniziative presentate dagli studenti e progetti interni all'Ateneo.

A ideare la performance è Francesca Bisutti, ricercatrice e docente di letteratura anglo-americana che, grazie alle traduzioni inedite di Claudia Russo, fa dialogare due testi letterari ambientati nel Sud degli Stati Uniti sul tema della schiavitù nera nel periodo della Guerra di Secessione, Il figlio di Désirée (Désirée's baby - 1893) di Kate Chopin e Una storia vera (A True Story, Repeated Word for Word as I Heard It - 1874) di Mark Twain.

Si tratta di un 'dittico in bianco e nero', come rileva il titolo, due racconti distinti ma uniti dalla Storia, come due lati di una stessa medaglia dove convivono gioia e dolore, schiavitù e libertà, oppressione e riscatto.

L'ambientazione di fine Ottocento è sottolineata, nella messa in scena, da elementi essenziali come un cappello o un paio di stivali, e altrettanto essenziale è la scenografia composta da un leggio, una sedia sospesa, un praticabile di legno.

L'attrice Eleonora Fuser interpreta con passione entrambi i testi immedesimandosi dapprima in Madame Valmondé e successivamente in Zia Rachel.
Il marchio della schiavitù è una maledizione nel racconto di Chopin: Désirée, abbandonata in fasce e adottata dalla aristocratica famiglia Valmondè, non può nascondere le sue vere origini che si manifestano inequivocabilmente nel figlio: "Significa – egli rispose in tono pacato - che il bambino non è bianco. Che tu non sei bianca" sono le parole che sanciscono la diversità di Désirée e la crudeltà di un marito incapace di comprendere.
Nel monologo di Twain la narrazione diventa ancora più emozionale:
"Era una sera d'estate, al tramonto. Eravamo nel portico della casa colonica, sulla sommità della collina, e Zia Rachel era seduta rispettosamente sotto di noi, sui gradini, perché era la nostra serva, ed era nera". Quei gradini, presenti in scena sotto forma di praticabile, sono superati uno ad uno, durante il monologo, da Zia Rachel, come se, ad ogni passo, corrispondesse un traguardo e una riscossa.
Eleonora Fuser nel monologo di Mark Twain riesce particolarmente a far vibrare le parole della vicenda, incalzando nel racconto e salendo i gradini fino all'ultimo, metafora di emancipazione e libertà.

Désirée e Zia Rachel sono due donne e due madri destinate a soffrire, a perdere i propri figli, a vivere il dramma del rifiuto e del disprezzo in un Paese che di lì a poco riuscirà, finalmente, a restituire dignità a tutto il suo popolo abolendo definitivamente, dopo una sanguinosissima guerra, le leggi sulla schiavitù.

La traduzione e la successiva trasposizione drammatica dei due testi narrativi sono riuscite a restituire freschezza e contemporaneità alle parole di Chopin e Twain, e risultano essere, nella loro realizzazione, un interessante e completo progetto firmato Ca'Foscari.

Valentina Dall'Ara

Ultima modifica il Martedì, 23 Luglio 2013 08:44

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