di Hanoch Levin
regia Claudia Della Seta e Stefano Viali
con Claudia Della Seta, Sofia Diaz, Antonio Fazzini, Federica Flavoni,
Maurizia Grossi, Mario Migliucci, Stefano Viali, Maddalena Emanuela Rizzi
musiche di Poldy Shatzman
traduzione Claudia Della Seta
produzione Teatro Franco Parenti in collaborazione con Terre Vivaci,
Afrodita Compagnia e Il Teatro delle Donne di Calenzano
Milano, Teatro Franco Parenti, dal 20 al 29 marzo 2018
IL SOGNO SOCCOMBENTE ALLE ASPREZZE DELLA VITA
L'opera di Hanoch Levin tratta il tema del disincanto progressivo che inizia dalla nostra infanzia per proseguire fino all'età adulta. Lo scontro con le durezze della realtà diventa inevitabile. E ancora più feroce quando siamo bambini e non abbiamo gli "attrezzi" adeguati per fronteggiarle. Il sogno rimane l'unica possibilità per affrancarci dalle battaglie della vita, ma solo per poco tempo. Da svegli, si ritorna a combattere. Nel "Il bambino sogna" il sonno è l'ancora di salvezza di un bambino, per allontanare l'assenza del padre e l'amore di una madre non sempre tenera. Il viaggio è la metafora della vita di un bambino, con i suoi perché, verso una meta sconosciuta.
Queste sono le tematiche del testo di Levin che la regia di Claudia Della Seta, anche interprete, porta sulla scena. In una scenografia quasi inesistente, i personaggi si muovono attorno al protagonista, il bambino, che non capisce o fa fatica ad accettare quello che gli succede intorno. Le musiche grottesche sottolineano l'innocenza dell'Infanzia scardinata da un'adultità violenta, psicologicamente e, a volte, anche fisicamente. Non tutto quello che vediamo avviene sul palcoscenico. I personaggi scendono dal palco, ci passano vicini e, a sipario chiuso, intonano canti corali che sembrano la colonna sonora di una discesa esistenziale dall'inferno della vita alla consapevolezza della sua finitezza. Questi sono i tratti scenici principali di uno spettacolo che, dobbiamo dire, fatica a restituirci le tematiche di Levin. Non vediamo l'onirismo che avremmo dovuto vedere e che avremmo voluto vedere (forse, in tal senso, si poteva "giocare" di più sulle luci per creare l'effetto di separazione fra realtà e sogno). Le scene appaiono confuse quasi abbozzate. Dietro i personaggi, nelle scene corali, non sempre c'è un ascolto attoriale. E poi perché far interpretare il bambino da una donna che ha le sembianze di una donna? Sono queste le carenze di uno spettacolo che non ci ha pienamente convinto. Ancora troppo potenziale, tuttavia, ci fa intravedere i semi fruttiferi di una maggiore riuscita e completezza che per ora rimangono solo nelle intenzioni.
Andrea Pietrantoni