regia di Giampiero Judica
con Linda Caridi
scrittura di Irene Petra Zani
scene e costumi Lucia Menegazzo
luci di Giacomo Marettelli Priorelli
tecnica di Monica Basso
Produzione Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito Produzioni e Argot Produzioni
OFF Topic, Torino, giovedì 9 febbraio 2023
Dopo aver assistito a Il bambolo, monologo di Irene Petra Zani portato in scena dalla bravissima Linda Caridi, si avverte a caldo la sensazione di uno spettacolo tranello, congegno teatrale dal doppiofondo che induce lo spettatore a ridere anche di gusto ascoltando parole dallo schiacciante peso: il bambolo è un figuro bianco di plastica a grandezza d’uomo, immobile ed immutabile, a fianco di una giovane donna vestita con cappello, impermeabile colorato con sotto un giubbotto salvagente. Saremo in spiaggia, si potrà pensare, ma presto si capisce che tempo e spazio non esistono più.
La donna inizia a raccontare, e le sue parole assumono subito una valenza dolorosa riferendo dell’abuso subito dal padre quando era bambina, come della lotta contro l’anoressia, ancor oggi piaga sociale che interessa una non trascurabile parte di adolescenti: la confessione è un dialogo a cuore aperto con il pubblico ma soprattutto con lui, con il bambolo, specchio delle ataviche paure ed insicurezze della protagonista, campana di vetro (o meglio di plastica…) sotto cui rifugiarsi alla ricerca di amore e comprensione fino a quel momento mai trovati negli incontri con il mondo esterno.
Se la scrittura di Irene Petra Zani incalza il pubblico sbattendo in faccia ora il dramma della violenza paterna, ora quello dell’autodistruzione alimentare, Linda Caridi si fa splendida interprete dei drammi di una donna che non vuole arrendersi, semmai spogliarsi degli abiti fino ad ora indossati per rinascere con la definitiva presa di consapevolezza del proprio ruolo di persona e donna: è una lenta ascesa verso la vita quella che la Caridi realizza, viaggio a tratti dalla spiazzante comicità, pur sempre in un contesto segnato dalla sofferenza, che alla fine vivrà il suo momento catartico con il tanto agognato tuffo nel mare di una vita finalmente da respirare a pieni polmoni. Ed il bambolo, ci si chiederà, quale il suo destino? Da semplice feticcio inespressivo cui rivolgere addosso parole e racconti del sofferto passato, diventa nell’immaginario del racconto sempre più presenza viva: siamo noi, il pubblico, a rivederci nelle sue fattezze, noi che per una sera condividiamo l’itinerario della giovane protagonista alla fine consapevole di poter camminare da sola, non prima però di averlo/averci stretto in un ultimo significativo abbraccio aprendo la valvola per sgonfiarlo.
Roberto Canavesi