soggetto originale Marco Zoppello
con Matteo Cremon, Michele Mori, Stefano Rota
scena Matteo Pozzobon, Roberto Maria Macchi
costumi Lauretta Salvagnin
disegno luci Matteo Pozzobon
maschere e carabattole Stefano Perocco di Meduna, Tullia Dalle Carbonare
musiche originali Ilaria Fantin
responsabile di produzione e distribuzione Federico Corona
regia Marco Zoppello
produzione Stivalaccio Teatro
Cittadella (Padova), teatro Sociale, 7 marzo 2025
L’analisi allegorica e stivalaccesca sul mondo dei comici e sull’Inferno comincia qui, da questi buffoni che dallo stesso sono certamente attirati, per loro natura, direi, e per una specie di missione già scritta. L’ameno, dolorante luogo è nell’immaginario popolare e non, comunque, la destinazione dei guitti, degli artisti di ogni genere, di questi giullari poco avvezzi alla gravis vitae, personaggi in qualche maniera maledetti nel loro vivere sguaiato. I tre, Zuan Polo, Domenico Tagliacalze e Pietro Gonnella diventano una specie di caprio espiatorio nel fuocoso ambito, così colpito da malattie e caos, tanto è vero che si palesa una missione, quella di riportarli nella luce, seppur per pochissimo, ciò che Belzebù stesso propone per sveltire le pratiche d’ingresso, diciamo così. In cambio di raccontare storie e storielle a chi affolla (e sono molti) l’inferno: ecco dunque il compito, che i giullari nel loro canto continuo portano cercando il risvolto divertente della vita, quel significato che per quanto maldestro possa essere ed è sinonimo di libertà, leggerezza, intrattenimento popolare. Una ricerca che vuol essere un viaggio all’inferno e all’interno di se stessi, delle loro capacità intrattenitive, del loro essere buffoni, destino segnato. E del loro essere comunque umani. A loro modo, una dichiarazione prevalentemente su uno stato anche naif, orgogliosi di farne parte. Un patto, insomma, con il Diavolo, così boccacesco e tiranno nel segno dello sghignazzo puro, dell’arte antica del narrare, dei racconti buffoneschi. Così i tre malcapitati sciorinano elevate vette di parole, fiumi di racconti arzigogolati rivolte alle anime dannate che in questo caso sono naturalmente gli spettatori. L’importante è saper raccontare storie di santi che sconfiggano i peccati capitali. E via, allora, con le storie, e i numerosi personaggi che i tre guitti vanno a interpretare mettendoci tutta la loro arte. Il ritmo, per rimanere in tema, è indiavolato, i doppi sensi, le allegorie parodistiche sono tante, narrate usando alcuni dialetti. Si è un po’ nel mondo di Brancaleone alle crociate, o in quello di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, per dire, con racconti e misfatti, anche se qui appunto il contesto è diverso. Con simbolismi animaleschi, dove ci si può sguazzare come in un bel pezzo di terreno colmo di fango. E’ un grande richiamo alla tradizione della Commedia dell’Arte, e di tutto quello che gigionamente, simpaticamente, tre baldanzosi buffoni giocolieri si inventano sia per assecondare Belzebù che per allietare le anime penate. Anche i richiami musicali sono tanti (l’autrice è Ilaria Fantin), i canti a squarciagola con le chitarre, i tamburi, in questa rassegna d’ironia estesa e rivolta a tutti. Gli attori di Stivalaccio Teatro, che qui sono Matteo Cremon, Michele Mori e Stefano Rota non si fermano un attimo, e con questo loro daffare impegnato coinvolgono il pubblico con disinvoltura e tecnica e ciò avviene, mi dicono, in tutte le date della tournée. I modi di dire, i vocaboli vengono storpiati, usati per la risata, e ciò non fa una piega naturalmente, anche confortati dai tanti applausi fuori scena, e dal prevalente uso del dialetto veneto mescolato a un grammelot. Belli i costumi e le maschere, molto ricercati, una regia sobria, di Marco Zoppello, autore anche del testo, semplice ma molto efficace la scenografia che nasconde di tutto e di più per i racconti, a uso dei buffoni. Mi ha convinto meno l’uso fatto delle luci, dirette al pubblico-anime dannate, questo continuo stacco e riattacco sulla sala. E’ un componimento collaudato, che paga e che diverte molto gli spettatori. Alla fine, come dice uno dei buffoni, è meglio ridere. Difatti si ride perché non c’è niente di meglio da fare. Sbagliato? Forse no. Francesco Bettin