La bisbetica domata di William Shakespeare messa alla prova
La Pirandelliana Nancy Brilli
traduzione e drammaturgia Stefania Bertola
con Matteo Cremon, Federico Pacifici, Gianluigi Igi Meggiorin, Gennaro Di Biase,
Anna Vinci, Dario Merlini, Brenda Lodigiani, Stefano Annoni
e
nel ruolo del Dr. Jolly Valerio Santoro
scene Giacomo Andrico,
costumi Nicoletta Ercole realizzati da Sartoria Tirelli
musiche Alessandro Nidi, luci Massimo Consoli
regia Cristina Pezzoli
Roma, Teatro Quirino dall' 1 al 20 dicembre (da gennaio, in tournée)
'Bisbetica', ma sostanzialmente indomata. E se proprio costretta ad 'atto di sottomissione' rispetto al suo novello e dirompente Petruccio (ginnico\palestrato come si conviene al giovin -seduttore d'alto rango) sarà 'pura formalità' di un epilogo scarno e didascalico, recitato 'controvolglia', ma con impeccabile ed asettica scansione accademica, affinchè la sarabanda dello spettacolo (a corrente alternata: dalla baraonda ai momenti di circoscritta malinconia) abbia fine e degno imprimatur. Momentaneo.
Da Liz Taylor a Valeria Moriconi, da Emma Thompson a Manuela Kusterman (vado a memoria), di Caterine inveterate e furibonde ne sono passate tante,altre probabilmente ne passeranno, lasciando (a me pare) della comunque gradevole, misurata, non plateale interpretazione di Namcy Brilli (qui diretta da Cistina Pezzoli, che ama incastonare 'il teatro nel teatro' nelle situazioni più estreme) il gusto di un 'decoupage', di un'arte della sottrazione che, secondo curriculum, non starebbe nelle corde, nella veemenza sensual.vitalistica di un'attrice non incline ad auto castigare l'esuberanza della vedette in cima ai gossip. Se "Bisbetica" riesce in questo, ben venga quindi la novella produzione del gruppo La Pirandelliana, che sino a primavera (dopo il debutto alla Versiliana) sarà in tournée in diverse, sparpagliate città italiane.
Quale, in sostanza, l'angolazione, la chiave di lettura adottata dalla Pezzoli (e sostanzialmente percepita da tutto in cast)? Evitare che Caterina sia la sola, assoluta protagonista\demiurgo\trasformista di una tessitura drammaturgica che tenderebbe ad enfatizzare la cocciutaggine, la prodezza sessista di un Petruccio, maschilista ante litteram, in cui – credo a torto- la critica tradizionale affermava che si esternasse il pensiero del Bardo nell'ambito del relazionarsi uomo\donna: prossimo, e non ci credo, ad un circense 'petulare' fra domatore e leonessa, tra raziocinio strategico e impulso uterino. Per dirla in breve, l'operazione di adattamento operata da Stefania Bertola, mira a snellire la messinscena, senza privarla della sua essenza filosofica, ammonitiva di un rapporto a due che –per dirla con il compianto Catalano- "è meglio se funzione piuttosto che no". E "basta che funzioni", aggiungerebbe Woody Allen, "finchè funziona".
Sin da subito, oltre all'espediente del gruppo d'attori che, in libera uscita e piena anarchia, si appresta ad allestire qualcosa 'che possa dare incassi al produttore' ( sciatteria dei personaggi, non degli interpreti) si procede, quindi, allo snellimento di alcune ridondanze: l'eliminazione (fattibilissima) del lungo prologo che era anch'esso un anticipazione del 'teatro di rifrangenza', del 'sogno o son desto?' (la finzione che tutto accade per burla al candelaio Sly, per volere di un sadico aristocratico); seguito dalla trasformazione di Nancy Brilli in attrice pragmatica e volitiva, la quale – pur di farla breve- afferra le veci di un assente capocomico, ben decisa a spiegare, tagliare, decidere (con 'decisionismo' benedetto dal frastornato impresario) come 'interpretare', coniugare, cadenzare il testo originale.
Dal suo tavolino di regia, passando dalle prove di lettura a quelle di movimento, la Brilli\Caterina (Pezzoli) azzarda una sorta di piccola alluvione post moderna: radente atmosfere di ' meticciato' tra commedia leggera, commedia musicale, piccoli ritratti di belve in gabbia che, di fatto, dispiegano citazioni stratificate, un po' all'ingrosso, ma non peregrine. Tirando così in ballo (e balletto) elementi da "Jesus Christ Superstar", da "Rumori fuori scena", dai Queen, da Fedez- in aggiunta a risonanze e rimembranze di estetica trash- rococò (genere prediletto ai "nodi d'amore ") contigue- non sono il solo ad averlo notato- ad alcune, recenti regie dell'emergente Damiano Michieletto, allievo prediletto di Ronconi.
Allo spasimo di 'riempire' (dare 'senso'), con esuberanza e dovizia di caratteri , il plot della commedia corrisponde così un accumulo (bailamme) di scalpitanti individualità comprimarie, che trovano "orchestrazione e ricomposizione drammaturgica finale" (cito la collega Simona Azzoni) in una specie di precario equilibrio conclusivo. Sino alla prossima 'recita' o 'ripresa' poiché (sottintende la Pezzoli) il regista (ovvero Nancy Brilli) se ne è andato per sempre e gli attori dovranno improvvisare da soli. Senza grilli per la testa.
Angelo Pizzuto