liberamente tratto dal film di Elio Petri
sceneggiatura Elio Petri e Ugo Pirro
drammaturgia di Paolo Di Paolo
regia di Claudio Longhi
scene di Guia Buzzi, costumi di Gianluca Sbicca
luci di Vincenzo Bonaffini, video di Riccardo Frati
musiche e arrangiamenti di Filippo Zattini
regista assistente Giacomo Pedini
assistente alla regia volontario Daniel Vincenzo Papa De Dios
con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell'Utri,
Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia,
Franca Penone, Simone Tangolo, Filippo Zattini
produzione Fodazione Emilia Romagna Teatro
visto al teatro Sociale di Brescia, il 21 febbraio 2018
Il lavoro, il sesso, le macchine e il corpo, la catena di montaggio e youporn: tutto questo sta nell'affresco prospettico e documentato della Classe operaia va in paradiso, libera lettura del film di Elio Petri, firmata da Claudio Longhi, su drammaturgia di Paolo Di Paolo, produzione di Fondazione Emilia Romagna Teatro. Claudio Longhi – regista e direttore di Ert – conferma la sua vocazione a leggere il teatro come mondo, specchio di una realtà, non semplicemente riflessa, ma più intellettualmente ri- pensata. Ed è quanto accade in La classe operaia va in paradiso, un lavoro che prende spunto dal film di Petri, ne offre non solo la vicenda – la parte di Lulù Massa che fu di Gianmaria Volontè è affidata a Lino Guanciale che se la cava egregiamente con tripli salti mortali e vocali – ma tratteggia anche il contesto della fine anni Sessanta e delle contestazioni studentesche e sindacali. In scena sono anche il processo creativo, il dibattito ideologico e antropologico, i punti di vista e idee di Elio Petri e Ugo Pirro nella realizzazione del film che raccontò la classe operaia, o meglio il suo liquefarsi in borghesia. Questi tre diversi piani narrativi si intrecciano, procedono parallelamente con lo stesso movimento che caratterizza la scena ronconiana, ideata da Guia Buzzi che altro non è che una sorta di catena di montaggio su cui entrano, scorrono ed escono non solo i personaggi, ma anche elementi scenici: arredi domestici, frese, piuttosto che telai di macchine. Ciò che caratterizza La classe operaia va in paradiso è un dinamismo scenico/interpretativo che fa sintesi e analisi al tempo stesso, focalizza l'attenzione dello spettatore e fa esplodere lo spettacolo in platea, richiama la visione cinematografica e frequenta la prossimità attorica col pubblico. Tutto è contenuto nella scena iniziale, un prologo diacronico in cui Lulù Massa/Lino Guanciale indossa i panni del lavoro, raccontando il mutare della classe operaia, la condanna alla catena di montaggio di ieri, come alla precarietà di oggi, i cottimisti di un tempo e i co.co.co o gli interinali di oggi. In tutto questo la storia di Lulù – macchina di produzione, schiavo inconsapevole del capitale – si fa paradigmatica, racconta dello svuotamento di sé, della trasformazione dell'uomo in strumento produttivo. Le prestazioni lavorative sono inversamente proporzionali a quelle sessuali, l'uomo produttivo per il capitale perde la capacità riproduttiva, il sesso è meccanico, è prestazionale, ne più né meno che come nei porno. Il corpo si misura in prestazioni, il corpo è macchina e così pure il sesso. Fare cilecca a letto è per Lulù solo l'anticipo del suo fallimento di uomo/macchina, menomato dal taglio di un dito. Tutto ciò sembra aprire a Lulù una consapevolezza non solo del limite, ma della sua condizione che lo porta ad abbracciare la protesta, fino al reinserimento finale e, in fondo, - diceva Petri e sottolinea Longhi – al trionfo del capitale che trasforma la classe operaia in una massa indistinta che sogna l'avanzamento borghese e il benessere consumista. La classe operaia va in paradiso di Longhi è un lavoro corale che porta in scena il collettivo formatosi con La resistibile ascesa di Arturo Ui, Il Ratto d'Europa, Istruzioni per non morire in pace. L'allestimento - nato da un'idea di Lino Guanciale – porta con sé tutta la storia di Longhi: il lungo sodalizio artistico e di studio con Luca Ronconi, l'amato Brecht e il non meno studiato teatro politico. In scena tutto ciò funziona con dinamica precisione, con la voglia di darsi di un gruppo di attori ben amalgamati, in tutto questo la classe operaia è evocazione di un passato lontano, ma è anche monito a un presente senza coscienza e l'urlo – non classista ma oggi individualista – per una rivoluzione dei corpi e delle anime che dovrebbero pretendere di sapere il fine di quello che fanno e perché lo fanno. L'annichilimento della coscienza è il dramma nebbioso in cui è proiettato Lulù Massa e in fondo tutti noi. L'applauso della platea è caloroso, partecipato, divertito per uno spettacolo ben costruito, intelligente che fa la lezione senza essere noioso e soprattutto senza alcun senso nostalgico.
Nicola Arrigoni