di Gaetano Colella
regia Enrico Messina
con Gaetano Colella e Andrea Simonetti
composizione sonora Mirko Lodedo
scene Massimo Staich
disegno luci Fausto Bonvini
tecnico di scena Vito Marra
Cooperativa Teatrale CREST in collaborazione con Armamaxa teatro
vincitore bando Storie di Lavoro 2015
Milano, Teatro Franco Parenti dal 29 al 31 maggio 2018
La classe operaia: quello che è stata, quello che è e, forse, quello che sarà
"Capatosta" è uno spaccato sociologico su quello che è-non è il proletariato di oggi. Gaetano Colella scrive un testo provocatorio prendendo spunto dall'Ilva di Taranto. Vediamo in scena due attori che interpretano due personaggi e due modi diversi di essere proletario: uno, più anziano, lavora da 20 anni all'Ilva, l'altro, giovanissimo e al debutto nel mondo del lavoro, fa l'ingresso come matricola in quello stabilimento. Ma mentre il primo, diversamente da quanto uno può immaginare, interpreta l'essere operaio che, aderendo ai dettami del padrone, è diventato lui stesso un caposquadra con un po' di potere, il secondo si fa portatore dei diritti del proletariato secondo una visuale che esclude ogni forma di collaborazione fra "servo" e "padrone". Tra questi due punti di vista estremi e inconciliabili non può che nascere un conflitto profondo. È un conflitto che inizia ad emergere, lentamente e superficialmente, all'inizio dell'incontro fra i due protagonisti per poi esplodere alla fine in modo violento e inaspettato. È un conflitto che passa dal tentativo del caposquadra "adattato" di educare il più giovane alle regole di un sistema al quale dovrebbe "docilmente" sottomettersi. Il tutto si incrocia con un passato dai toni foschi, la morte del padre (anche lui operaio dell'Ilva) di uno dei due, dietro cui si nasconde un esplosivo desiderio di vendetta riappacificato solo da un finale violento. Oggi esiste ancora la classe operaia? Che fine ha fatto il desiderio di combattere per i propri diritti? Sono queste solo alcune delle domande a cui il testo di Colella tenta di dare delle risposte, calandolo nella realtà infernale dello stabilimento di Taranto. L'idea è interessante anche se la volontà di trattare una tematica così complessa in poco più di un'ora rischia di cadere nella forma di un pamphlet troppo sintetico e superficiale. Quello che fa intravedere "Capatosta" è la possibilità che una nuova leva di giovani proletari, se ancora possiamo chiamarli così, si faccia portatrice di una futura rivendicazione dei propri diritti.
Andrea Pietrantoni