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CONSUETUDINE FRASTAGLIATA DELL'AVERTI ACCANTO (LA) - diretto e interpretato da Claudia Vismara e Daniele Pilli

"La consuetudine frastagliata dell’averti accanto", diretto e interpretato da Claudia Vismara e Daniele Pilli "La consuetudine frastagliata dell’averti accanto", diretto e interpretato da Claudia Vismara e Daniele Pilli

Drammaturgia Marco Andreoli
Diretto e interpretato da Claudia Vismara e Daniele Pilli
Light designer Luigi Biondi
Tecnicismi Francesco Traverso
Costumi Livia Fulvio
Produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Compagnia i Poli a K.O.V.
A Roma, Teatro Vascello il 27, 28, 29 e 31 ottobre 2020

www.Sipario.it, 17 ottobre 2020

Potrebbe sembrare una storia come tante fra un uomo e una donna. Un semplice rapporto di coppia dentro un interno domestico dove si consumano gesti e parole di un’ordinaria relazione. A sorprendere, invece, è il meccanismo con cui è costruita la pièce: azioni e battute del testo ritornano in scene replicate, con aggiunte, da vari punti di vista, alternando meccanicità e dinamismo. È il nastro della vita continuamente riavvolto per le infinite varianti che sarebbero potute accadere “se”. Se quella sciarpa rossa dimenticata da lei una sera in quel bar, non fosse stata trovata e restituita da lui a quella sconosciuta. Parte da questo episodio lo spettacolo La consuetudine frastagliata dell’averti accanto testo di Marco Andreoli scritto per la coppia di attori Daniele Pilli e Claudia Vismara. Due giovani coniugi apparentemente felici colti nella loro routine quotidiana, vittime inconsapevoli di quella concatenazione di eventi microscopici che definiscono chi siamo, cosa facciamo, chi amiamo. È la storia di una coppia che non ha fatto in tempo ad essere tale, ma che esiste come possibilità, come ipotesi, come alternativa di resistenza sentimentale orgogliosamente contrapposta alla crudeltà degli eventi. Lui, Elia, professionista irrealizzato, un tempo studente di fisica applicata con l’interesse ad una tesi sperimentale sulla scomposizione dell’unità di tempo. Ama tornare a casa dalla moglie, gustare la sua zuppa di porri e leggerle articoli di giornale di nessun interesse. Lavora nell’azienda X. Lei, Laura, in tenuta da casalinga disperata anni ’80, ex ragazza, non-madre, un tempo studentessa al secondo anno di fotografia, non ha interessi particolari. Dopo aver pulito i piatti, fuma sempre una sigaretta. Così ce li descrive il testo aprendo, dopo una lunga autopresentazione dell’uomo, con un abbraccio eccessivamente caloroso tra i due, chiamandosi lei Cielo-mare e lui Universo, chiedendo l’un all’altro: “Tutto perfetto?”. “Qui sul Pianeta Terra, sì. E lì? Lungo la Via Lattea?”. E subito l’inizio del ménage famigliare.
Ispirandosi ai principi della fisica quantistica e della teoria del caos, Andreoli connette un valore scientifico a quelle direzioni esistenziali che inducono a prendere una via piuttosto che un’altra. Sul piano drammaturgico affascina applicare in una scrittura teatrale quella teoria che sostiene l’esistenza di un numero infinito di universi simultanei e paralleli: cioè, che tutto quello che può accadere, succede da qualche altra parte, ma con esiti via via diversi, con lievi spostamenti che possono determinare risultati del tutto opposti. Per ogni scelta, quindi, che si compie, ci sono mille altri mondi in cui si è scelto in un modo differente. Qui, in La consuetudine frastagliata dell’averti accanto, come in altre sue opere, l’autore analizza il tema dell’amore irraggiungibile, la perdita e la mancanza, la ricerca di un’identità profonda, l’angoscia del tempo, la dualità del singolo, la solitudine. Nel suo gioco drammaturgico confluisce tutto ciò che muove la nostra esistenza: cervello e cuore, razionalità e sentimento, forza e vulnerabilità, ordine e caos, destino e libero arbitrio. In questo denso amalgama la scrittura coinvolgente e intrigante di Andreoli, è illuminata dalla resa dei due attori – semplicemente perfetti e autentici nei ruoli, dentro un meccanismo di gesti ed espressioni mutevoli e sempre uguali, con innumerevoli sfumature, scarti ironici e drammatici ben dosati –, ai quali va dato il merito di aver restituito con intelligente chiarezza la complessità dell’assunto. Strutturato come una sit-com americana degli anni Ottanta, con tanto di risate e applausi fuori campo che, a tratti, sottolineano i dialoghi a sketch; con le stesse sequenze di movimenti e spostamenti, stesso percorso narrativo, e cambi d’atmosfera generale, l’allestimento ideato da Pilli e Vismara, anche registi, si avvale di una bellissima scenografia minimalista, una sorta di scatola magica sapientemente definita dalle luci: un interno realistico, con oggetti che determinano delle funzioni specifiche, dentro un perimetro aperto, rettangolare, con pavimento a scacchiera. Una cucina con tavolo, due sedie, un telefono giallo, un piccolo televisore a tubo, delle luminarie, degli appendiabiti, e infine una lavagna per la dimostrazione matematica - scrivendo l’equazione di Polyakov - della vita scelta e delle sue infinite possibilità. “Tutti gli universi, a un passo dalla fine, - dirà Laura rivolta al pubblico, e a Elia che l’ascolta - si chiudono e si dimenticano in sé stessi. Come fossero vecchi elefanti. Come fossero risse sedate. La stanchezza, del resto, ogni stanchezza, nasce dal desiderio. Non c’è nient’altro che possa fiaccare e seccare e screpolare e segnare e graffiare così in profondità i nostri corpi. Nient’altro che non sia il desiderio”. Il finale svelerà tutto ciò che è accaduto e che accadrà.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Martedì, 20 Ottobre 2020 19:19

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