di Dario Fo e Franca Rame
con Chiara Francini, Alessandro Federico
luci Alessandro Barbieri
scenografia Katia Titolo
costumi Francesca Di Giuliano
musiche Setti – Pasino
aiuto regia Rachele Minelli
produzione Pierfrancesco Pisani – Isabella Borettini per Infinito Teatro
in collaborazione con Argot Produzioni
regia Alessandro Tedeschi
Vicenza, teatro Comunale, 6 e 7 novembre 2024
Il successo che questo spettacolo con Chiara Francini, anche a Vicenza, ottiene ormai da un po’ di anni nei numerosi palcoscenici d’Italia si può dire consolidato, e la parte comica, sottolineo comica, non brillante, caratteristica dell’attrice fiorentina, esce a tutto spiano. Dentro a questo testo, scritto da Franca Rame e Dario Fo ci sono, e sottolineo ancora, nel testo, tanti elementi della vita di coppia che non virano certo nella comicità facile, pur rimanendo nel brillante (così è la commedia, che non è certo priva di sfumature molto importanti, e che tocca scottanti ramificazioni del vivere). La coppia è già di per sé un argomento a largo raggio che presenta, va da sé, un’infinita gamma di confronti aperti o meno, di problemi, più o meno presenti. Che vanno, solo per dare qualche esempio, dal machismo perenne e inossidabile, alla situazione della donna, allora, e ora, all’esperimento del titolo: provare a essere una coppia aperta con tutto quello che ne consegue e i rischi galoppanti. Ma che, forse, potrebbe anche essere nella realtà, chi lo esclude? Rame e Fo non fanno certo del moralismo semmai attaccano dove è possibile farlo, nei comportamenti discutibili dell’uomo, nelle rivalse e nella prepotenza, nella fintà libertà e altro ancora. Il testo dei due mostri sacri della scena verte naturalmente sull’ironia, e che ironia peraltro, quella che Rame ha messo nei suoi personaggi fin dall’inizio, condita di politica sociale, quotidiana, espressione in quest’epoca moderna sempre meno conosciuta a quanto pare, o quantomeno più confusa, distratta, soprattutto in certi temi. E’ lo specchio di una società che si è involgarita in tutto, e dove si prova a salvarsi e questo vale anche per il teatro naturalmente. L’azione verbale e politica della coppia di autori è sempre stata potente, lucida, e anche i temi riguardanti una coppia che sta assieme sono stati affrontati in modo sorprendentemente avanti rispetto ai tempi. Questo ha fatto di loro una coppia dello spettacolo di grande importanza, non solo per il Nobel ricevuto da Fo, ma per il loro percorso totale. In questo testo, portato in scena con la regia di Alessandro Tedeschi, una direzione abbastanza blanda nel complesso, Antonia ha il volto e il corpo di Chiara Francini, con la sua parlata fiorentina accentuata, esasperatamente isterica se non sempre, molto spesso, che punta tutto su quello che l’attrice da anni fa, un personaggio un po’ oltre, come spesso la si vede nei lavori da lei interpretati. Cosa nelle sue corde peraltro, dove riesce senza problemi a dare risultati accettabili e anche divertenti, penso a certi film. La moglie succube del traditore, quella che comunque con una certa caparbietà e furbizia prende in mano la situazione per cercare di ristabilire il quadro situazionale, potrebbe anche rimanere in queste sue corde se non per il fatto che qui siamo di fronte a un testo di potenza che, risate a parte che può regalare, disegna dinamiche più disperate che altro. Ed è qui che l’operazione teatrale esagera, relegando la donna a una specie di macchietta e perdendo un’occasione per poter approfondire sul serio i temi trattati, che sono molti come ho già detto: aggiungo, solitudine, tristezza, vendetta pensata, riscatto. Componenti sociologici. Io credo che sull’ironia bisogna un po’ intendersi, qui spicca una comicità allargata e non disegnata su misura, al personaggio di Antonia, ed è il rischio che si corre quando si affronta il testo di due mostri sacri come Rame e Fo, e non solo loro naturalmente. Di fronte a una scenografia e a dei costumi banali ed essenziali, l’allestimento appare qualcosa di non ben definito, che non centra l’obiettivo. E qualche tentativo di modernizzare (si tira in ballo un convegno con Recalcati) risulta sterile e inutile. Alessandro Federico dà della sua interpretazione un mosaico recitativo valido, le risate arrivano, e il pubblico esce contento. Si vede che ormai basta questo, appunto, e l’approfondimento diventa una cosa vana. Francesco Bettin