di Wajdi Mouawad
consulente storico Natalie Zemon Davis
traduzione del testo originale “Tous des oiseaux” di Monica Capuani
adattamento di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi
regia Marco Lorenzi
con Federico Palumeri, Lucrezia Forni, Barbara Mazzi, Irene Ivaldi, Rebecca Rossetti,
Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Raffaele Musella
assistente alla regia Lorenzo De Iacovo / dramaturg Monica Capuani
scenografia e costumi Gregorio Zurla / disegno luci Umberto Camponeschi
disegno sonoro Massimiliano Bressan, un progetto de Il Mulino di Amleto
una produzione A.M.A. Factory, ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Teatro Nazionale di Genova, in collaborazione con TPE – Teatro Piemonte Europa e Festival delle Colline Torinesi, con il sostegno di Bando ART-WAVES Produzioni 2022 e 2023 della Fondazione Compagnia di San Paolo, all’Arena del Sole, Bologna, 6 aprile 2025
Eitan (Federico Palumeri) è la pietra dello scandalo, è l’inconsolato, figlio di padre ebreo di origine palestinese, coniuga in sé il massacro di due popoli, coniuga in sé due lingue che hanno parole di sangue. Eitan è lì sulla tomba del padre, David che si credeva ebreo, convinto ebreo integralista, ma in realtà di sangue palestinese. È come se Wajdj Mouawad individuasse in Eitan una sorta di epifania cristologica, colui che incarna gli opposti e in essi nel suo darsi cerca di oltrepassare la separazione del muro che divide palestinesi e israeliani. Come gli uccelli è un testo/mondo in cui il portato teatrale della tradizione occidentale diventa la chiave di lettura o meglio di narrazione della tragedia del sangue e della terra, del conflitto fra ebrei e palestinesi che molto ha della vocazione alla violenza degli uomini, che nella violenza del sacro cercano una pacificazione momentanea, che solo l’Agnus Dei, ovvero del Dio che si fa egli stesso capro espiatorio promette di interrompere. La storia è quella dell’amore impossibile fra due ragazzi che si conoscono a New York, lui è ebreo, lei è palestinese (Lucrezia Forni), due mondi che neppure l’amore riesce a pacificare e unire, dall’altra c’è l’agnizione che il padre di Eitan, David (Elio D’Alessandro), ebreo integralista, scoprirà non essere figlio di suo padre e di sua madre, ma di origini palestinese, salvato dal padre, militare israeliano, da morte certa dopo una battaglia. Ed in questo la tragedia di Edipo diventa l’inevitabile e voluto richiamo ad una storia fatta di silenzi, di radicali convincimenti che il disvelamento della verità mette in crisi, ma non cancella. Come gli uccelli è un testo denso e potente, avvincente e spiazzante che Marco Lorenzi porta in scena con grande nitore, con precisione registica, ben scandendo le scene, i tasselli di una vicenda che ama improvvisi avanzamenti temporali e altrettanti flashback, in cui l’elemento dominante è un muro che viene gestito senza troppe inclinazioni didascaliche, disegna gli spazi, a tratti dà l’impressione di schiacciare i personaggi. Il cast è un cast multietnico, ben assortito con un convincente equilibrio interpretativo. Tutto si tiene – i riferimenti al Romeo e giulietta di Shakespeare piuttosto che alle tragedie di Sofocle – fanno da soliti sostegni drammaturgici, riferimenti metateatrali che consegnano alla prospettiva occidentale la storia di terra, Dio e sangue che da sempre contrappone Ebrei e Palestinesi. Come gli uccelli è uno di quei testi e di quegli spettacoli che sanno costruire un’epica, un racconto avvincente, mostrano e dimostrano i meccanismi, li svelano, ma non hanno la forza di trovare un punto di vista, ci offrono la realtà nella sua complessità. È questa una tendenza sempre più frequente – si vedano gli spettacoli di Lisa Ferlazzo Natoli o La ferocia di VicoQuartoMazzini -, si crede che il lavoro, Come gli uccelli di Lorenzi si ponga in questa scia: racconti mondo che ci offrono uno scenario da abitare, la complessità di un mondo e dei suoi meccanismi, senza la possibilità non solo di metterli in crisi, ma neppure di esprimere un punto di vista, se non quello dell’abitare lo stordimento onnicomprensivo dal punto di vista spaziale e temporale, un po’ come accade nelle serie tv. Un aspetto questo su cui riflettere, si crede. Nicola Arrigoni