da Albert Camus
di Corrado Accordino e Paolo Bignamini
con Corrado Accordino e Alessia Vicardi
regia Corrado Accordino
Produzione La Danza Immobile/ ScenAperta/ Accademia delle Arti per l’Infanzia
Stagione 2007/2008
Libera elaborazione drammaturgica scritta a quattro mani da Paolo Bignamini e Corrado Accodino, che sceglie di tenere lo scrittore francese Albert Camus, come punto di riferimento ideale e filosofico, per raccontare una vicenda - o non-vicenda - ispirata all’opera teatrale Il Malinteso e all’autobiografia incompiuta Il Primo Uomo, entrambe del grande filosofo e drammaturgo Premio Nobel per la letteratura nel ‘57. Difficile classificare Camus in una o più correnti letterarie. Come difficile classificare il dramma diretto da Corrado Accordino. Uno spettacolo sfuggente e spiazzante. Un noir secco e vibrante, che alterna momenti di tensione e di ritmo serrato a momenti lenti, struggenti e romantici a momenti leggeri e divertenti pervasi da una sottile comicità. Paragonabile, se possibile paragonarlo a qualcosa di già visto, ai film più visionari di David Lynch. Sul palco un uomo - forse lo stesso Camus, o forse uno dei suoi personaggi, o forse uno qualunque - e una donna - una bellissima, misteriosa donna dalla voce seducente e ammaliante. Di quelle bellezze che non ti travolgono, ma che ti affascinano lentamente, inequivocabilmente. Viaggiano insieme. Su di un’automobile. Una vecchia Lancia Fulvia smembrata, spaccata, esplosa e ordinatamente ricomposta. Viaggiano da un tempo indeterminato e senza un’apparente destinazione. Il buio della scena, i fari dell’auto, il rombo del motore… subito si ha la sensazione di veder correre davanti agli occhi il lungo, interminabile asfalto nero della “lynchiana” strada di Mulholland Drive. Dove stavano andando quei personaggi? E dove stanno andando questi? E dove stiamo andando noi? Dove? Dove. Questa, la domanda ricorrente per tutto lo spettacolo. I nostri protagonisti si muovono veloci in un’auto verso un oltre, che si rivela essere invece un ritorno. Un ritorno alle radici simboleggiato dalla ricerca di un padre mai conosciuto e che si vorrebbe afferrare da una parte, e un padre mai conosciuto che si vorrebbe mantenere nell’oblio dall’altra. Un viaggio in cui il presente viene costantemente proiettato verso il passato e il futuro e in cui prendono vita e consistenza i ricordi e gli spettri dei suoi protagonisti. Ma chi sono questi protagonisti? Forse siamo noi. E forse il viaggio altro non è che l’universale ricerca dell’origine, del vero senso della vita, che l’assurdo e il tragico dell’esistenza negano quotidianamente.
Monica Fivizzani