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COSA DEVE FARE NAPOLI PER RIMANERE IN EQUILIBRIO SOPRA UN UOVO - regia Enrique Vargas

Cosa deve fare Napoli per rimanere in equilibrio sopra un uovo Cosa deve fare Napoli per rimanere in equilibrio sopra un uovo Regia Enrique Vargas

di Enrique Vargas
regia Enrique Vargas
produzione NTFI
in coproduzione con Teatros de los Sentidos
produzione esecutiva Associazione culturale Interno 5
prima assoluta
Napoli Teatro Festival
Napoli, Lazzaretto, dal 11 al 20 giugno 2008

Il Mattino, 16 giugno 2008
Tra mito e storia per ritrovare il bandolo nel buio

Un panno nero chiude la sommità dello scalone che porta alla Sala del Lazzaretto dell'ex ospedale Pace ai Tribunali. Ne sbucano due teste con strani copricapi a metà fra il coppolone di Pulcinella e certe fogge precolombiane. E quel panno, allora, richiama nello stesso tempo un teatrino di guarattelle e il Bululu, una forma di teatro di strada che soltanto la Spagna conosce e che affonda le radici nelle feste religiose medievali: dal braccio teso di un cieco scende fino a terra un mantello (per l'appunto nero), e d'un tratto quel braccio diventa il proscenio a cui compaiono le marionette, manovrate dall'accompagnatore del cieco nascosto dietro il mantello. È importante, come vedremo, la questione della cecità, tanto quanto la palla che i due strani personaggi lasciano poi rotolare sui gradini fino agli spettatori e sulla quale si legge: «Dite a tutti di salire zitti zitti». Questo l'inizio di «Cosa deve fare Napoli per rimanere in equilibrio sopra un uovo», lo spettacolo di Enrique Vargas compreso fra i progetti di punta del Teatro Festival Italia. E dell'allestimento anticipa tutti i temi decisivi: l'intreccio delle culture, il rito (anche nella variante scherzosa dell'happening) e, naturalmente, il rapporto dialettico fra il mito e la storia (Napoli e noi che vi abitiamo, oggi). E riguardo a quest'ultimo punto, parliamo di uno spettacolo che più tempestivo non poteva essere. La situazione attuale di Napoli sembra proprio la stessa dei tempi di quel Virgilio sul cui fragile uovo, secondo la leggenda, si reggerebbe la città: un'epoca (giusto il vaticinio dei Libri Sibillini) da «fine del mondo», nella quale dilagavano valori fasulli e la violenza faceva rima con l'impotenza, sia della politica che degli intellettuali. Qual è la risposta? Avvicinandosi alla Sala del Lazzaretto, gli spettatori (32 per ogni replica) ricevono ciascuno un piccolissimo gomitolo di lana: il filo di Cloto, gestito da una Lachesi che qui cede il passo ad Ananke, la sua equivalente dell'Africa mediterranea. E tutti quei gomitoli, raccolti in un cestino, andranno a compensare, sull'altro piatto di un'enorme bilancia, il peso di un modellino in pietra di Napoli. Insomma, Napoli siamo noi, sono le nostre vite e i nostri destini messi insieme. Ed ecco il punto centrale - ed alto e intensissimo - dello spettacolo: al suono di una fisarmonica, dal fondo buio dell'immensa sala avanza una teoria di fantasmi con una benda, sempre nera, sugli occhi; e ognuno di essi, scelto uno spettatore, lo prende per mano, lo accompagna verso il buio e, per giunta, gli mette sugli occhi la propria benda. Da quel momento, ti assale una tempesta di stimoli fra i più vari (mormorii, richiami, frammenti di favole, brusìo di strade, odori, canzoni, carezze...) che ovviamente, data l'oscurità totale in cui li percepisci, diventano misteriosi e, perciò, carichi di nuovi e imprevedibili significati. A sua volta, ci prende per mano nostro padre Edipo. Perché la sua morte - che avviene, appunto, nel buio insondabile del bosco sacro alle Eumenidi - è un vero e proprio rituale di conoscenza: Edipo s'acceca non perché non vuole più vedere, ma perché vuole vedere oltre il limite dei significati dati. E questo vuol dirci Vargas. Bisogna morire per poter rinascere. Bisogna abbandonare tutto il risaputo e il ripetuto per poter «risentire», capire e, forse, cambiare Napoli. La conclusione? Tolte dagli occhi le bende, tra voci ironiche che sembrano venire dal Cimitero delle Fontanelle e fragori di ottoni prima sospesi fra i Balcani e New Orleans e poi tramutati in orchestrine da sognante balera, contribuiamo tutti ad accrescere, con quelli nostri, le stalattiti e le stalagmiti di fili bianchi con cui Vargas rappresenta Napoli. E ce ne andiamo con un po' più di consapevolezza nel cervello e di caldo nel cuore.

Enrico Fiore

Ultima modifica il Lunedì, 12 Agosto 2013 09:40

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