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DECAMERON DELLE DONNE, TRENT'ANNI DOPO (IL) - regia Donatella Massimilla

"Il Decameron delle Donne, trent’anni dopo", regia Donatella Massimilla "Il Decameron delle Donne, trent’anni dopo", regia Donatella Massimilla

regia e drammaturgia Donatella Massimilla

liberamente ispirato al "Decamerone delle donne" di Julia Voznesenskaja

con Gilberta Crispino, Paola D'Alessandro, Jakson Do Liete, Mariangela Ginetti,
Donatella Massimilla, Olga Vinyals Martori, Dalia Nieves
e
con Alessia, Elisa, Elena, Kristal, Marta, Martina, Laura, Solange, Sonia, Steve

scene Alessandro Franco, costumi Susan Marshall, 
assistente scene e costumi Riccardo Filograna

musiche dal vivo Gianpietro Marazza e Paola D'Alessandro

una produzione CETEC Dentro/Fuori San Vittore

in collaborazione con Fondazione Donna Onlus, Edge Festival 2019 Teatri Oltre le Barriere

Piccolo Teatro Grassi, 10 e 11 novembre 2019

www.Sipario.it, 21 novembre 2019

Entrano dalla sala puerpere in abiti eleganti, con cappelli di pelo, cuffie, sciarpe, cappotti, tacchi alti, gonne, con incedere esitante per la loro condizione e per il luogo. L'ingresso è stato preceduto da un breve filmato in cui vediamo un'attrice prologare in un atrio del carcere di San Vittore, nei panni della scrittrice russa al cui romanzo omonimo è ispirato lo spettacolo; figura che vene doppiata poco dopo da Olga Vinyals Martori che, sul lato destro del palco, attacca a scrivere a macchina e a raccontare, mentre l'interprete LIS Mita Graziano, che tradurrà tutto lo spettacolo nel linguaggio dei segni, si è appostata a destra sul proscenio e ha iniziato la sua partitura. Le puerpere, secondo il romanzo omonimo di Julia Voznesenskaja, sono internate temporanee del reparto maternità di un ospedale di Leningrado, e per un'infezione della pelle sono costrette a stare in quarantena, tutte insieme, nel reparto. Le vediamo entrare sfilando in silenzio, come evocate dal ticchettare della macchina da scrivere, fantasmi gravidi di personaggio, che attestano uno smarrimento, e non perché siano in cerca d'autore, ma perché reduci da una vita che per ora sta sfociando e impaludandosi in questa sospetta sala d'aspetto, affidate a uno stuolo di infermiere che le accolgono approntando alcune panche. Questo "Decameron delle donne" è la ripresa, nel trentennale del debutto, dello spettacolo che per la regista Donatella Massimilla fu l'inizio dell'esperienza teatrale con le persone detenute della sezione femminile del carcere di San Vittore.
In Italia il teatro in carcere si fa da molti anni e spesso con risultati altissimi. Il CETEC porta avanti da vent'anni un lavoro a livello nazionale ed europeo sulle tematiche del teatro nei luoghi di reclusione, ma anche nei "luoghi altri della marginalità e del disagio – comunità di migranti, donne svantaggiate e abusate, minori a rischio, aziende ospedaliere". Certo il panorama, anche solo in Italia, è vastissimo. Solo nel Coordinamento Nazionale Teatro e Carcere vi sono censite quasi 60 realtà. E' un teatro d'arte? Non lo è? Deve tendere all'esito d'arte o deve accontentarsi di generare processi di riappropriazione di sé da parte dei partecipanti? Sembra ovvio dire che in presenza di un buon regista-drammaturgo e di una compagine attoriale adeguata, non ci potranno essere ostacoli a un conseguimento estetico. Sarà compito del regista creare le condizioni perché si possa trasformare in materiale atto a essere assimilato dalla bio-macchina attoriale (dopo aver lavorato, come accade del resto per ogni compagnia teatrale, ad alimentarla e prepararla, tale macchina, con il repertorio delle tecniche e la disciplina) il bagaglio biografico della persona, o la letteratura drammatica e la poesia di ogni tempo; dovrà operare, il regista, per traforare di aneliti la cappa dell'esperienza, così che architettura aperta al sole e ai venti divenga lo spettacolo, e non mera, anche se magari liberatoria, testimonianza. L'espressione "teatro sociale d'arte" assume forse un peso definitorio eccessivo per indicare questo tipo di esperienze. Preferiamo dire, sulla scia di un'intuizione di Marco Martinelli, che in realtà il teatro, quando con la sua eresia della gioia, inoculata scientemente da un Eresiarca ispirato, è in grado di contagiare i partecipanti, in qualunque contesto può operare trasmutazioni d'arte. E questo ci sembra anche il caso del lavoro di Donatella Massimilla. Il gruppo, formato da attrici storiche della compagnia e da altre più recenti, è vario per talenti, esuberanza, intensità, fascino personale, aspetto fisico, età, nazionalità, grana delle voci. Vediamo in atto un lavoro corale, dove il gruppo ruota attorno ad un'attesa che si fa sospetto e allusione: il sospetto, nostro di spettatori, è che dietro quell'attesa e a quel temporaneo sequestro degli infanti appena nati, si nasconda una realtà totalitaria più pervasiva; l'allusione, del testo, è che in realtà quella situazione adombri la dimensione ben più oscura del gulag, in questo caso brezneviano, nel quale l'autrice russa fu effettivamente rinchiusa, e che traluce dal dispositivo del romanzo. Così il "Decameron" si dà come efficace metafora di una condizione nella quale provare a popolare di storie l'orizzonte di morte, concentrazionario, che incombe. Si sgranano allora a una a una attraverso brevi monologhi le storie, e ci sono anche le scritture delle attrici a formulare tale rosario laico, gonfio di una dolente nostalgia di vita. La corolla dei racconti è sostenuta dallo stelo robusto di una resa scenica puntuale nei tempi, che si apre talvolta a piccole epifanie coreografiche o ad assoli di canto dall'aroma vagamente brechtiano, punteggiate dagli scrosci di note della fisarmonica dal vivo di Gianpietro Marazza e dagli interventi delicati della Vinyals Martori, da sempre compagna d'avventura della Massimilla. Il finale è affidato a un breve monologo filmato in carcere, in cui veniamo riportati alla cornice della cornice, cioè il contesto del dentro-San Vittore, contrapposto al fuori/dentro del teatro. E' l'ultimo dichiarato ponte con l'opera della scrittrice russa prima di tornare alla letteralità disumanizzante ma poi paradossalmente familiare (lo si scorge dalle brevi riprese degli interni delle celle) del carcere. E il teatro trasfigura davvero queste emozionanti attrici, facendone intuire tutte le ulteriori potenzialità. Così è doveroso nominarle tutte: Gilberta Crispino, Paola D'Alessandro, Jakson Do Liete, Mariangela Ginetti, Dalia Nieves, e ancora: Alessia, Elisa, Elena, Steve, Kristal, Marta, Martina, Laura, Solange, Sonia.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Domenica, 24 Novembre 2019 07:30

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