due atti unici di Eduardo De Filippo
con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Remo Stella, Marco Trotta
scene Sergio Tramonti, costumi Nanà Cecchi, luci Camilla Piccioni (Dolore sotto chiave)
scene e costumi Titina Maselli, realizzazione Barbara Bessi, luci Camilla Piccioni, musica Sandro Gorli (Sik Sik l’artefice magico)
produzione Marche Teatro, Teatro di Roma, Elledieffe
regia Carlo Cecchi
Arzignano (Vicenza) teatro Mattarello, 11 gennaio 2022
Un’irrisione comica e feroce al contempo, della morte, è il prologo, e tutto lo sciorinare principale seguente, di “Dolore sotto chiave”, primo dei due atti unici di Eduardo presentati dalla compagnia Carlo Cecchi al Mattarello di Arzignano, una morte di chi ti sta vicino trattata con un’ironia come solo il grande drammaturgo, attore e regista napoletano sapeva scrivere. Una scena che ricorda il neorealismo, una casa semplice, due personaggi principali messi sottoluce, Rocco e sua sorella Lucia, intenti a rispettare la malattia di Elena, moglie dell’uomo, nell’altra stanza accanto. Questo da 11 mesi, con lo stesso Rocco che ormai non capisce più cosa succede. Fino al momento fumantino, a quell’entrata in camera dove scopre che Elena…non c’è. Da qui è un batti e ribatti, un gioco delle accuse reciproche, delle responsabilità di fronte al trapasso avvenuto tempo prima, mentre Rocco era fuori zona per lavoro. Dapprima l’uomo pensa che lei stia con un’amante ma la sorella gli fa capire la vera situazione. I due vengono subiscono in qualche modo anche l’ingresso in scena, e dunque in casa, di alcuni personaggi strampalati, amici di famiglia che in tipica formazione di teatro napoletano dispensano consigli. Saltano all’occhio, però anche una serie di sentimenti celati, che escono allo scoperto, dove riconoscersi un po’ tutti: dove c’è amore c’è invidia, dove c’è grettezza propria c’è, magari, umiltà, carità, tentativo di salvare il salvabile. E’ lo splendido teatro di Eduardo De Filippo, quella drammaturgia unica che ha fatto di lui più che un maestro, che accorpa follie e nefandezze intime dell’uomo (e del galantuomo). Rocco confessa di avere un’amante, che però non se l’è sentita di stargli accanto visto che lui aspettava che la moglie guarisse, e se n’e’ partita con un altro uomo. Un gioco di esistenza a incastri svela la natura umana, nelle sue diverse ramificazioni, nei suoi peggiori difetti e migliori pregi, visti tra le fessure. Vincenzo Ferrera offre un’ottima prova, da attore con solidità interpretativa, Angelica Ippolito è la sorella Lucia a metà tra il rassegnato e la saggezza, mentre Carlo Cecchi rimane col suo personaggio, e con gli altri attori, di sfondo. Altra musica, altre amarezze quelle del secondo atto, “Sik Sik l’artefice magico”, datata 1929, dove Cecchi dà il meglio di sé nel ruolo di un illusionista che si trova a dover sostituire una spalla che gli supporta i segreti di scena. E lo fa con un avventore di passaggio, provando a spiegargli i trucchi per poi andare in scena poco dopo, di fronte al malcapitato pubblico. Sik Sik è accompagnato da una silenziosa assistente, la moglie Giorgetta. Il pressapochismo, la superficialità di voler mettere in scena uno spettacolo con infimi mezzi porta al baratro finale, all’evidenza dell’incapacità ma anche al tentativo dell’arte di arrangiarsi, all’adeguarsi. La nuova spalla dell’illusionista combina solo guai, coadiuvato a sua volta dalla prima spalla, ritornata a teatro e(consapevole o no)in un certo senso assistente a sua volta di chi l’ha sostituito. Maldestro e mago irrisolto comunque Sik Sik fa buon viso a cattiva sorte, facendo svoltare il finale verso, comunque, un risultato da lui voluto. O almeno è quello che al pubblico fa credere. Fine testo, con spassoso dialetto storpiato, un clima di varietà da rimpiangere in un certo senso, e con Carlo Cecchi che regala una maschera alla Eduardo certamente, ma anche alla Totò, con grande mestiere. L’atto unico propina risate purtroppo ora più amare e recupera una malinconica era di palcoscenico, desolante, superficiale ma viva, che è metafora di chi vive, a cui tutti gli interpreti contribuiscono. Una bella serata, dunque, con un grande Cecchi, allievo e gran conoscitore eduardiano e con la pregevole presenza di Angelica Ippolito al suo fianco. Commovente pensandola oggi come allora, nell’ultimo testo, questo, appunto, che Eduardo interpretò prima di smettere. E lei era al suo fianco, stessa pasta di attrice, stessi gesti, stesso ruolo. Allora come oggi, grande presenza.
Francesco Bettin