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DIPTYCH THE MISSING DOOR & THE LOST ROOM – regia Gabriela Carrizo, Franck Chartier

"Diptych The missing door & the lost room", regia Gabriela Carrizo, Franck Chartier. Foto Virginia Rota "Diptych The missing door & the lost room", regia Gabriela Carrizo, Franck Chartier. Foto Virginia Rota

concept e regia di Gabriela Carrizo, Franck Chartier
con Konan Dayot, Fons Dhossche, Lauren Langlois, Panos Malactos,
Alejandro Moya, Fanny Sage, Eliana Stragapede, Wan-Lun Yu
assistente alla creazione Thomas Michaux
musica originale di Raphaëlle Latini, Ismaël Colombani, Annalena Fröhlich, Louis-Clément Da Costa, Eurudike De Beul
disegno luci di Tom Visser
scenografia di Gabriela Carrizo, Justine Bougerol
costumi di Seoljin Kim, Yichun Liu, Louis-Clément Da Costa
produzione Peeping Tom, Cremona
teatro Ponchielli, 9 maggio 2023

www.Sipario.it, 12 maggio 2023

Nulla è ciò che sembra, tutto accade contemporaneamente, nella narrazione onirica spazio e tempo si mescolano, tutto accade nel qui ed ora, in un presente perenne che semplicemente è e non si concede la prospettiva del narrare.  Tutto questo è Diptych dei Peeping Tom, semplicemente il dittico (questo il significato del titolo) che si compone di The missing door, The lost room. In realtà lo spettacolo – visto al Ponchielli e di nuovo in tour in Italia – si compone di un terzo episodio The hidden floor. Gabriela Carrizo e Franck Chartier hanno ideato Diptych per il Nederlands Dans Theatret e hanno voluto riportare in scena il lavoro con i loro danzatori performer: Konan Dayot, Fons Dhossche, Lauren Langlois, Panos Malactos, Alejandro Moya, Fanny Sage, Eliana Stragapede, Wan-Lun Yu. Ciò a cui si assiste è un viaggio di strepitosa intensità tecnica e poetica. La scena si apre su un interno in cui c’è un corpo di donna riverso a terra e un uomo morto seduto al tavolo. Ad un certo punto entra un altro uomo che trascina via il corpo della donna e comincia a pulire il pavimento da una macchia di sangue… Da qui prende il via un movimento che fa sì che quelle figure diventino segni in balia di un tempo, ricordi che evocano, visioni che prevedono. Ciò che propone Diptych è un viaggio su un transatlantico, destinato a solcare le onde del tempo e forse destinato ad inabissarsi in un oceano di lacrime. Ciò che accade davanti agli occhi dello spettatore è il disvelamento tecnico della finzione e, paradossalmente, la potenza di una verità che respira nei corpi, nelle azioni, nell’essere in scena dei danzatori della compagnia belga che appaiono perfetti e credibili in ogni respiro, corpi in balia di un divenire che si nutre di immagini e suoni inediti, di uno spazio che muta come corpo vivo. Lo spazio condivide, infatti, la stessa fluidità, errante inquietudine dei suoi abitanti che di volta in volta sono risucchiati o respinti da quella stanza, dallo spazio comune su cui danno le porte di altrettante cabine, uno spazio che sarebbe piaciuto al vaudeville e che qui ha la potenza di un labirinto di angoscia, uno spazio in cui chi lo abita è prigioniero, in tensione perenne verso un altrove irraggiungibile. La stanza con al centro un letto, una grande finestra che improvvisamente si fa armadio e quella porta, che dà chissà dove, sono le coordinate del film agito in presa diretta dai Peeping Tom e che chiede allo spettatore di farsi voyeur – questo il significato del termine peeping tom – anche nella costruzione dei diversi ambienti, che ha la forza e la potenza di una danza fatta di incastri, di spazi che mutano, mentre le maestranze e i danzatori agiscono con precisa e inusuale armonia. E così quell’uomo in lacrime che rimane solo e immobile sul grande letto della stanza, mentre i tecnici smontano la scena e il pubblico non sa se lasciare la sala o meno. Tutto in Diptych è a vista, la finzione di una sorta di set cinematografico prestato al teatro insinua il tarlo della finzione e finisce con essere iperreale. Tutto questo accade in un continuum che non lascia fiato, in cui lo disvelamento della finzione cinematografica (e teatrale) diventano un di più di realtà, non disvelano, ma mostrano l’esatto contrario: come la finzione sia più vera del vero. E allora quei corpi, quegli uomini e quelle donne sono anime inquiete che sudano e trasudano dolore, sono presenze fisiche in balia di desideri mai soddisfatti, di sentimenti inariditi, solo loro stessa vita in viaggio, vite destinate a compirsi in una pietà laica che annega in un oceano di lacrime.

Nicola Arrigoni 

Ultima modifica il Lunedì, 22 Maggio 2023 16:46

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