della DARKSIDE LABTHEATRE COMPANY
Liberamente tratto da “Io venia pien d’angoscia a rimirarti” di Michele Mari
con Sabrina Sacchelli, Nicolò Berti e Giuseppe Coppola
Drammatugia e Regia di Matteo Fasanella
Aiuto Regia: Virna Zorzan
Costumi: Darkside ETS
Assistente alla Regia: Lorenzo Martinelli
Foto e Grafica: Agnese Carinci
Allestimento Scenico: Alessio Giusto – Disegno Luci: Matteo Fasanella
Ufficio Stampa : Andrea Cavazzini
In scena al Cometa Off 19-23 marzo 2025
Darkmoon, sulle sponde dell’Eternità È il 1825, tre fratelli, Salesio, Orazio e Pilla si ritrovano insieme nella vecchia tenuta di famiglia, dove prepotentemente emergono ricordi di un'estate passata, quella del 1813, dove l'innocenza fanciullesca conobbe il terrore dell'ignoto e della morte. Liberamente ispirato a Io venia pien d'angoscia a rimirarti di Michele Mari, Darkmoon è un sortilegio che crea un tempo di sospensione in cui realtà storica e finzione, verità e sogno si intrecciano inesorabilmente in un cupo racconto di formazione corale. Salesio altri non è che Giacomo Leopardi, che in questa storia rigorosamente di fantasia esplora il mistero dei lupi mannari. Attraverso una fiaba gotica si omaggia e sublima la propensione di Leopardi all'Assoluto, si esalta il suo anelito all'Infinito e la sua fascinazione per l'Ignoto. È una storia simbolica e poetica, che con lirismo e sensibilità immerge lo spettatore in un mistero abissale, quello dell'esperienza umana della paura, senza cui il sentimento per il bello e la gioia stessa non esisterebbero, perché è il terrore di perdere qualcosa a dargli valore, è la stessa caducità a proiettare verso l'Eterno. Salesio è interpretato da Giuseppe Coppola, che raggiunge un'intensità scenica potente. Curvo su se stesso per imitare la postura di Leopardi, ma anche per suggerire l'idea di un uomo che si è lentamente chiuso nella sua torre d'avorio di conoscenza e poesia, allontanandosi dal resto del mondo e sperimentando una sofferenza lacerante e solitaria. Il suo movimento ha delle sfumature animalesche e ferine, il passo è felpato, le mani tremanti e agitate. Lo sguardo è rivolto spesso verso il pubblico, o meglio verso un Oltre, come un orizzonte a cui i personaggi anelano, che li attrae e spaventa al contempo. Salesio è assorto nelle pieghe del tempo e dell'eterno e la poesia diventa per lui fondamento di vita e catarsi. "La poesia è molto più necessaria della scienza, Orazio. Solo la poesia può permettere alle nostre anime di collocarsi nel ritmo dell'eternità" dice al fratello. Il suo sguardo è luminoso e sereno nel passato, tenebroso e profondamente tormentato nel presente. Tagliente come una lama, fissa gli altri con un'intensità penetrante ed evoca un dolore insostenibile. Il Leopardi del passato è sereno e aperto al mondo, condivide momenti magici di gioco e letizia con i fratelli e la sua postura è ancora corretta e sana, ma una forza magnetica si avvicina e lo trascina lentamente verso di sé. L'intenso Nicolò Berti è Orazio: semplice e spontaneo, finge superficialità, ferito dalla condanna di sentirsi inferiore al fratello. Nella versione del passato c'è una sintonia profonda tra lui e Salesio, una giocosità contagiosa, destinata a spezzarsi per l'incanto della Luna. Infine c'è Pilla con la sua delicatezza elegante e innocenza angelica. La stupenda Sabrina Sacchelli riesce a fingersi adolescente gioiosa, esuberante e vulcanica e subito dopo donna riflessiva, conciliante e turbata dal comportamento dei fratelli. La scenografia, curata da Alessio Giusto, nella sua essenzialità mette in risalto l'amore per la letteratura in cui sono cresciuti i tre fratelli e quello per la natura, rappresentato prima da due alberi che fanno da cornice all'antica biblioteca e poi dall'arrivo fascinoso e ammaliante della Luna, che assurge quasi al ruolo di vera protagonista, con tutti i valori simbolici che porta con sé. La regia di Matteo Fasanella, che alla trama originale di Michele Mari aggiunge nella sua drammaturgia un notevole spessore filosofico, ricrea atmosfere oniriche idonee a un racconto perturbante e ipnotico, uno stato di trance che sublima il sentimento umano della paura dell'ignoto e dell'oscurità interiore che dorme nel proprio cuore. La DarkSide LabTheatre Company regala uno spettacolo che si inabissa nella sfera del terrore ancestrale del disumano, di quella bestialità archetipica e primitiva che l'essere umano si raffigura come esterna a sé, ma che con una profonda analisi scopre essere interna al proprio tormentato essere. Corinne Vosa
Due tempi si intrecciano, per lo più attraverso l'uso del buio in scena, ma anche senza un vero limite demarcatore, solo con l'ausilio della recitazione dei tre attori. La regia di Matteo Fasanella è moderna e raffinata, semplice e minimale nei mezzi, ma comunque efficace e
d'impatto. Crea più ambienti in un unico spazio ricorrendo alla staticità di alcuni dei personaggi in scena e alla sospensione dei loro movimenti, così che l'attenzione sia sull'attore che recita ma, allo stesso tempo, si continui a percepire la tensione esistenziale degli altri attori in scena verso quanto succede e il dramma di cui sono parte. L'illuminazione punta a creare un effetto di oscurità con delle luci che si infrangono su volti e vesti dei personaggi.
La poesia, frammento di eterno e bellezza assoluta che si interpone tra l'uomo e l'Infinito, può rivelarsi concretamente salvifica con il suo potere introspettivo e spirituale. Insieme ad essa si rivela propizio anche l'amore sincero e puro, come quello che unisce i tre fratelli in un solo forte abbraccio di condivisione totale della propria misteriosa sorte.