di Antonio Petito
con Salvatore Caruso, Rosario Giglio, Antonella Romano, Luciano Saltarelli, Sabrina Scuccimarra
scene: Massimo Bellando Randone
costumi: Gianluca Falaschi
regia e adattamento: Antonio Petito
musica: Francesco De Melis
Napoli, Villa delle Ginestre, tournée estiva 2007
Con «Don Fausto» Petito approda, nel 1865, a una delle sue più riuscite e, insieme, più complesse parodie. Nella circostanza, infatti, il bersaglio è nientemeno che l'«Urfaust» di Goethe: poiché qui si racconta di un vecchio, Don Fausto Barilotto, che s'è perso nel sogno di trovare lo «spirito della terra». E la parodia sta nella burla che intorno a lui organizzano i parenti, calandosi nei panni dei vari personaggi evocati da quel sogno. Una burla - ecco lo scarto ideologico messo in campo da Petito - che non mira tanto, come si dichiara, a far rinsavire il vecchio, quanto, nella più pura logica borghese, ad ottenere da lui il consenso per il matrimonio, redditizio, tra la figlia Marietta e Don Crescenzino. Ma Don Fausto non è pazzo, e il suo è un sogno di squisito carattere culturale; così come, di conseguenza, non costituisce un semplice prototipo farsesco: è, piuttosto, un «diverso» che realizza, per l'appunto nel sogno, la fuga da una realtà urbana ormai compromessa dagli asfissianti e ripetitivi meccanismi della civiltà capitalistica e pre-industriale. E in particolare, attraverso quella fuga Don Fausto sottolinea l'impossibilità, per lui, di accettare il ruolo sociale che gli altri vorrebbero imporgli. A una lettura del genere si accostò, nel '78, l'allestimento della parodia in questione diretto dal compianto Antonio Neiwiller: non a caso, alla fine il suo Don Fausto non rinsaviva, come nel testo originale di Petito, ma sceglieva di perdersi per sempre nel proprio sogno, dietro il fantasma di Margherita. E all'allestimento di Neiwiller, riprendendone il finale, s'ispirò nel '99 Renato Carpentieri. Invece, Arturo Cirillo - regista della messinscena di «Don Fausto» che il Nuovo e Vesuvioteatro presentano nella sala di via Montecalvario - sembrerebbe puntare su una lettura di carattere mitico-antropologico. Infatti, qui Pulcinella entra in scena a cavallo di un uovo gigantesco; ed è interpretato da un'attrice, a sottolineare, dice Cirillo, la sua natura bisessuale. Ma ho usato il condizionale, «sembrerebbe», perché - a parte il fatto che Pulcinella è, tecnicamente parlando, una maschera «anima di morto» (vedi Paolo Toschi, «Le origini del teatro italiano») - accade, poi, che Cirillo si perda in un gioco di rimandi che oscilla confusamente, per esempio, tra la sceneggiata e, addirittura, la prestidigitazione. Si tratta, lo avete capito, di un gioco facile, fragile e fine a se stesso. E meno male che la bravura degli attori (Salvatore Caruso, Rosario Giglio, Sabrina Scuccimarra, Luciano Saltarelli e Antonella Romano) riesce almeno a cavarne il conforto di qualche sia pur sporadica risata. Ma è davvero troppo poco rispetto alle premesse di Cirillo.
Enrico Fiore
L' ambiguo Pulcinella di Petito
Re dei Pulcinella, Antonio Petito, figlio d' arte, maestro di Eduardo Scarpetta, racchiude nella sua figura di attore e autore una grande parte della storia del teatro napoletano. Semianalfabeta, assorbe le esperienze culturali italiane e europee attraverso il teatro, nascono così le «parodie» di opere melodrammatiche, tragedie, commedie che avvicinano un vasto pubblico popolare a temi e autori dai quali era escluso. Con Petito Pulcinella da servo rozzo diventa arguto, lo veste e lo traveste, facendolo diventare quella «collezione di personaggi legati tra loro da un nome, un camiciotto bianco, una mezza maschera nera» come scrisse Croce. Antonio Cirillo mettendo in scena Don Fausto di Petito guarda intelligentemente alla tradizione in una prospettiva non consolatoria, non museale e senza timore reverenziale per i «padri». La guarda con occhi da drammaturgo, ricercando significati, svelando le complessità di questa parodia farsesca che «toglie l' idea», come dice Pulcinella, dalla tragedia di Faust e Margherita di Goethe per ribaltarne la trama in un lieto fine. Cirillo fa dell' ambiguità spettacolo, giocando abilmente in un clima dai toni realistici venati di surreale con le belle musiche di Francesco De Melis. Pulcinella entra in una scena segnata da pochi semplici elementi, un tavolo, sedie, panche, a cavallo di un uovo che nasconde al suo interno l' impazzito Don Fausto. Cirillo propone una riflessione attiva e giocosa su quella zona di grigio che regna tra il nero e il bianco delle certezze e tutto si svolge tra sacro e profano, tra desiderio e realtà, tra vita e morte, tra finzione e travestimento, in un gioco di teatro nel teatro. Anche Pulcinella è ambiguo, non è un uomo che si traveste da Margherita impegnata a ripercorrere con Don Liborio-Mefistofele, con Donna Bernarda-Marta, con Luciano Squarra-Valentino le vicende goethiane nel tentativo di far rinsavire un Fausto impazzito nel volere amore, gioventù e ricchezza, ma è una donna che a tratti sembra soffrire la verità del personaggio di Goethe, così come l' incertezza sfiora il rinsavire di don Fausto. Bravi Salvatore Caruso, Rosario Giglio, Sabrina Scuccimarra, Luciano Saltarelli e Antonella Romano in uno spettacolo colto, divertente, popolare e raffinato.
Magda Poli