mercoledì, 22 gennaio, 2025
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EL NOST MILAN. TERZA PARTE - ideato e diretto da Serena Sinigaglia

"El nost Milan. Terza parte", Ideato e diretto da Serena Sinigaglia "El nost Milan. Terza parte", Ideato e diretto da Serena Sinigaglia

Adattamento per voce sola e coro ispirato all'omonima commedia di Carlo Bertolazzi
Un progetto triennale di arte partecipata a cura di Atir e Teatro Carcano
Ideato e diretto da Serena Sinigaglia
Con la partecipazione di Lella Costa e un coro di cittadini milanesi partecipanti ai laboratori di Atir
Adattamento Tindaro Granata e Serena Sinigaglia
Traduzione dal dialetto milanese Domenico Ferrari
Scene Maria Spazzi
Costumi Paola Giorgi
Luci Roberta Faiolo
Consulente musiche Sandra Zoccolan
Direzione tecnica Christian Laface
Coordinamento sociale Nadia Fulco e Massimiliano Pensa
Direzione coro Valeria Fornoni e Virginia Zini
Educ-attrice Valentina Ledono
Sovratitoli a cura di Francesca Bozzi
Spettacolo realizzato con la collaborazione di Cooperativa Sociale Comunità Progetto, Associazione Amici di Edoardo onlus, Aiutiamoli, Associazione Aiutility Onlus
Produzione Teatro Carcano e ATIR
Teatro Carcano, Milano, 8 dicembre 2024

www.Sipario.it, 12 dicembre 2024

Da una parte Carlo Bertolazzi che nel 1893 con la compagnia Sbodio-Carnaghi vede la sua commedia andare in scena in questo stesso Teatro Carcano – mentre la ridda dei personaggi che si rincorre e palpita sulla scena, a chi abbia anche solo scorso le pagine dello scapigliato Paolo Valera e della sua “Milano sconosciuta” del 1879, dedita all’esplorazione sistematica dei bassi della città e dei suoi notturni frequentatori, rivela con le derelitte figure di quest’opera immediate corrispondenze (e inaudite scoperte: se si pensa che a Porta Nuova, oggi specchiante di riflessi dallo skyline di Gae Aulenti e terra di griffe internazionali, Valera racconta come vi sorgesse un penitenziario dei più sordidi!); dall’altra la Milano, o almeno il quartiere dove ha sede lo storico teatro, che per l’occasione si è mobilitato intorno a un progetto partecipato, triennale, volto a reinsediare il testo dell’autore milanese nella sua sede naturale – con l’annessa questione sulle differenze fra la città di quasi 150 anni fa e l’odierna – secondo un modo, il teatro di comunità, che ben si presta a far emergere vissuti, memoria, reciproco riconoscimento.

Che sia uno storico e piuttosto tradizionalista teatro della città a condurre in porto un’operazione del genere e non un piccolo teatro di ricerca è già degno di nota. Del resto la doppia direzione artistica Costa-Sinigaglia, inaugurata qualche anno fa, non poteva che caratterizzarsi per una simile convergenza di diverse visioni della scena o sfaldarsi per le spinte centrifughe che potevano manifestarsi. E’ un equilibrio che si rende palpabile nella struttura stessa dello spettacolo: per un verso l’eterogeneo gruppo dei cittadini non-attori messi a confronto con i personaggi del Tivoli (l’antico parco dei divertimenti, con circo, nei pressi di piazza Castello, dove si svolge il primo atto), guidati da Serena Sinigaglia; per un altro la sensibilità attoriale della vedette Costa, che tuttavia s’immerge con semplicità nel dialetto di fine Ottocento colorando i personaggi della popolana Nina e del suo povero padre di un’umanità senza tempo e investendoli di una partecipazione empatica che li rende vivi. 

Anche spazialmente le due anime dello spettacolo si dislocano, con rari incroci. Del resto, l’opera del Bertolazzi già contiene questa disposizione se, come scrive Louis Althusser nel 1963 a proposito dello spettacolo di Strehler, vi si riscontra “la coesistenza di uno spazio popolato d’una moltitudine di personaggi, i cui mutui rapporti sono accidentali o episodici, e di uno spazio breve, legato in un conflitto mortale, e abitato da tre personaggi: il padre, la figlia e il Togasso. In altri termini, ci troviamo di fronte a un dramma in cui appaiono una quarantina di personaggi, ma in cui il “dramma” è vissuto da tre di essi soltanto”. 

La troupe di cittadini è varia per età e comprende anche persone con disabilità. Si muove e dispone in figure corali, cita più che impersonare i saltimbanchi del Tivoli, e si produce in brevi scene di commento all’azione e alla vicenda dei tre personaggi principali. La soluzione del fondale semitrasparente ritagliato a boccascena concentrici, sul quale vengono proiettate immagini d’antan delle architetture simbolo di Milano o di altri analoghi scorci, si percepisce come una sottolineatura didascalica, forse non necessaria. Si sarebbe desiderato a volte un palco del tutto sgombro per poter cogliere, oltre ai gruppi, pur ben delineati ma spesso come bidimensionalmente schiacciati, anche qualche figura singola stagliata in una profondità di campo che l’ampiezza del palco avrebbe permesso. Singolarità che tuttavia emergono, in senso però biografico, nel controfinale: quando tutti i cittadini, ripresi i loro abiti quotidiani, escono a commentare l’esperienza, in questo non più recitanti, ma viventi portatori di quella vulnerabilità/verità che a teatro è una delle condizioni della presenza.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Lunedì, 16 Dicembre 2024 22:00

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