mercoledì, 22 gennaio, 2025
Sei qui: Home / E / ERODIÀS | MATER STRANGOSCIÀS - un progetto di Sandro Lombardi

ERODIÀS | MATER STRANGOSCIÀS - un progetto di Sandro Lombardi

“Erodiàs”, “Mater strangosciàs” con Anna Della Rosa, un progetto di Sandro Lombardi “Erodiàs”, “Mater strangosciàs” con Anna Della Rosa, un progetto di Sandro Lombardi

da: Tre lai
di: Giovanni Testori 
con: Anna Della Rosa
un progetto di Sandro Lombardi
per Anna Della Rosa
disegno luci: Vincenzo De Angelis
sarta: Cristina Carbone
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione ERT, Compagnia Lombardi-Tiezzi
Visto a Bologna, Teatro Ert Arena del Sole, Sala Thierry Salmon, il 12 novembre 2024

www.Sipario.it, 27 dicembre 2024

Magnifica Anna Della Rosa nei due lai testoriani “Erodiàs” e “Mater strangosciàs”
Il meraviglioso dono di Sandro Lombardi a una grande interprete

“…ne fuoriesce un canto straziante e iroso, un esercizio di stile e di virtuosismo che mostra e dimostra senza ombra di dubbio le potenzialità espressive dell’interprete… “: è stato al termine di una delle repliche di “Erodiàs” e “Mater strangosciàs” dai <Tre lai> di Giovanni Testori  all’Arena del Sole di Bologna che è avvenuta la consegna del Premio A.N.C.T. 2024, Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Perché alla magnifica interprete, Anna Della Rosa, era stato impossibile partecipare alla cerimonia al Teatro Verdi di Padova, con il TSV, Teatro Stabile del Veneto, in quanto impegnata…a ricevere un altro premio! Promessa di presenza fatta in precedenza. Ma all’Associazione Critici non dispiace che qualche volta il premio venga consegnato dopo una rappresentazione, sull’eco degli applausi del pubblico, che quindi crescono, si rafforzano, in un sentimento di intensa condivisione, avvertita potente, con Anna Della Rosa, durante tutta lo spettacolo, perfetto anche lo spazio, semicircolare, gli spettatori vicini, della  Sala Thierry Salmon.

I “Tre lai” sono l’ultima opera di Testori, testimonianza estrema nella consapevolezza della morte vicina, tutto ancora un mistero: “Quantu dulur/ per rivà dumà a savé/ men ancamò de prima/…Capì nagot”. C’è l’affanno, il tormento: “Oh qual fadiga fassi, /oh qual,/no domà a vivere/ ma a crepare!”. Sempre un incanto l’incontro con Sandro Lombardi in grado di assorbire profondamente le parole dense, complesse dei “Lai” - antica forma lirico narrativa della letteratura romanza, ma anche lamento, voce di dolore - una lingua ardua da fare propria, a frammenti, tra elementi dialettali, arcaismi e neologismi, qui, con il sentimento della tragedia, attraversati da una strana lucidità, quasi delirio stilizzato dalla somma competenza conquistata nel tempo, tra rime e latinismi, metafore e formule liturgiche. Si ricorda anche, straordinaria, Arianna Scommegna affrontare uno dei “Lai” testoriani, “Mater strangosciàs”, regia di Gigi Dall’Aglio, ma è quasi sembrata un’impresa a parte, la fusione di testo/ attore, tra frasi incompiute, pause, deviazioni, parole chiave, sembrava appartenere comunque a Sandro Lombardi.

“Anna carissima, due parole adesso che stai per andare in scena, questo che ti consegno è quanto resta di un mio spettacolo…”: si inizia così, ascoltando la lettera che Sandro  indirizza ad Anna. Fiducia assoluta. L’aveva vista nella “Cleopatràs”, regia di Valter Malosti: lei avrebbe potuto accogliere, impregnarsi  consapevolmente di Testori, la sua lingua, il suo sentire, sì, riprendere, rispecchiarsi, imparare da lui. “Quando ti ho vista ho capito: tutta la materia eruttiva di quegli spettacoli era ancora dentro di me, pronta che io la consegnassi, la donassi, l’affidassi a qualcuno”: Sandro Lombardi ha quindi accompagnato Anna Della Rosa nel percorso delle prove, intervenendo per la comprensione del testo, che non doveva comunque dominarla, gli accenti, i diversi modi di stare in scena per i due personaggi protagonisti, donne che hanno vicino i resti dell’uomo amato, la testa mozzata di Giovanni Battista, il Cristo rappresentato da una semplice veste bianca con sfumature rosso sangue. Lombardi, in questo dono, un passaggio di consegne affettuoso, trepidante, avvertiva che la sua creatura di venticinque anni prima, spettacolo amatissimo, andava sovrapponendosi, senza forzature, con dolcezza, con una speciale, anche, forma di libertà, con quella di Anna, una sorta di abbraccio solidale. E aveva detto sì, sì: poteva andare in scena! “Come se io mi incarnassi in te - si ascolta ancora dalla lettera - e tu risuscitassi il me di allora, la giovinezza mia, una stagione antica…”

Entrando in scena sistema il panno simbolo del Figlio: Anna è ancora solo attrice, indossa un frac, la camicia bianca ha grandi polsini. Siede sul trono, rigido, povero, essenziale. Solleva lentamente la testa. Ha i piedi nudi. Testori che tanta cura, e coraggio, svela nella scelta dei ritmi, termini, vocaboli, sensuali e osceni, arcaici e televisivi, popolari e preziosissimi, non dimentica mai il corpo. “Una poetica del sangue e delle viscere”, scrive Lombardi. Le stesse parole paiono possedere una potente fisicità, quasi avessero dentro il fiato che le pronuncia, la densità della persona che le intona. Dentro forse ci sono anche il dolore, il senso della morte dell’autore nel letto d’ospedale. Erodiàs parla di “erotica attrazione”. Dietro il trono le lucette da festa di paese. Anna Della Rosa si avvicina a quella testa sul piatto e parla a Giovanni Battista come fosse vivo, ricordando a tratti, con acute fitte, quanto è accaduto. Aveva cercato di sedurlo: invano. Mortificata, rabbiosa, Erodiàs si scaglia anche contro quel dio che voleva cambiare tutto. Con ironia e sofferenza: concepire restando vergine, redimere i mali del mondo, scegliendo i poveri, gli sventurati, i miseri della terra, “un scief/ un capo/ de reietti e calpestati…/ dei ciechi, dei ciavati /e  mutulati”. E “l’integra povertà”! Come poteva lei accettare questo? 

La danza di seduzione di Salomé viene fatta propria con “Hava Naghila”, canzone ebraica che invita alla gioia, “Rallegriamoci e siamo felici…Svegliatevi fratelli col cuore felice”, una danza stilizzata, limpida. E la memoria, con l’urlo della disperazione, lega quei passi di seduzione con l’uccisione di Giovanni Battista, la cui testa viene raccolta, tenuta con sé sul trono. Come già con Lombardi, c’è un grande rigore in ogni passaggio, nei gesti, le luci, la musica, le pause. E con quella lingua distorta, deformata, reinventata, infantile e coltissima, il dialetto della Brianza, versi purissimi e strane trascrizioni di parole televisive, tutto in un unico grumo, nel desiderio, anche Erodiàs, di morire. Ma bisogna aspettare. Parole che si legano al primo dei “Lai”, a Cleopatràs: “Vuoi forse ‘bligarmi, /proprio te, o profeta di me bal,/ a esser meno sacra e tragediosa/ della reina precediosa/ e de lei/ alla fin finis/ ‘men ‘men in del lassar la terra, ecco, estremosa?”

Ma c’è il ponte anche con il terzo, l’ultimo dei “Lai”, con la Madre che piange il figlio e non finisce mai d’interrogarsi, di cercare di capire. Così ancora Erodiàs: “Lassar che ‘na quei cosa/ de quel che tempo/ catarsi se ciamava,/ ‘rivi,/ non già da me,/ né dalla mia rivala precedenta, / ma dal laiar/ della strangosciata mea seguenta?”. Per Eroodiàs davanti a sé non c’è speranza, faticoso anche aspettare, l’ultima parola “niente”.  Echi da Jacopone, inevitabilmente, per “Mater strangosciàs”, ma con ricordi di bambino, la filanda, citando, come Testori ama fare spesso, anche il teatro, una situazione esplicita, gli spettatori davanti. Il tono è più quieto, ma non manca la pena che apre varchi a parole anche estreme, un dolore che non le permette di capire, a cui anche arrendersi, “l’uniga manera de capì/ o de capire/ è farsi integralmente dal Padre nostro comprendire”.

La vita di campagna, ma anche la platea mondo. Le braccia come in croce. Anche per abbracciare il mondo/teatro? La Mater sta componendo un rito? Senza rinunciare all’ironia, alla provocazione: “Lo capissi mo’/ che t’hanno tutti/ un po’ fottuto?”. Cari ricordi comunque. E qui la voce sembra quella di Testori sul letto di morte: “Oh, cara vita, destrasciata e bella,/ como te rifarei!….oh vita mea sorella”. Può avere un senso il dolore? Pare quasi che il poeta - con la bravissima Anna Della Rosa - voglia provare a ricordare a se stesso la fiducia in altro: “la vita, sì, /

l’è ‘na ciavada”, ma è possibile ancora avere la speranza, “integra la s’è ella illuminada, / da restà semper, sì,/ ciavada,/ ma resurrezionada”. Vasta la commozione. S’immagina l’orgoglio di Sandro Lombardi: il suo dono accolto, fatto proprio meravigliosamente.

Valeria Ottolenghi

Ultima modifica il Domenica, 05 Gennaio 2025 19:19

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.