di Gabriel Calderòn
Traduzione di Teresa Vila, regia Emanuele Valenti
con Monica Demuru, Christian Giroso, Lisa Imperatore, Marcello Manzella, Daniela Piperno, Lello Serao, Emanuele Valenti
scene Giuseppe Stellato, costumi Daniela Salernitano
disegno luci Massimo Galardini, assistente alla regia Federica Sandrini
direttrice di produzione Hilenia De Falco
un progetto realizzato dal Teatro Metastasio di Prato produzione Teatri Associati di Napoli/Teatro Area Nord Fondazione Teatro di Napoli/Teatro Bellini
Al teatro Piccolo Bellini di Napoli dal 30 gennaio al 9 febbraio 2025
“Il personale è politico” è considerata, molto ingiustamente, una espressione 'datata', imputata nel nostro oggi di una certa 'ingenuità' soprattutto, io credo, in quanto purtroppo nella sua diade è venuto a mancare il 'politico'. Ex – Esplodano gli attori, questo testo, esplosivo in senso pieno e in senso lato, del giovane drammaturgo uruguagio Gabriel Calderòn messo bravamente (alla francese) in scena da Emanuele Valenti nella traduzione (eccellente credo) di Teresa Vila, si presenta giocando sull'equivoco sin dal titolo in cui si sovrappongono, nella doppia etimologia di 'coloro che agiscono' in scena e nella vita, il Teatro e la Storia essendo stata ispirata, ed è giusto dirlo, da una enigmatica frase dell'ex presidente dell'Uruguay Pepe Mujica che riporto: “L’ho detto, devono scoppiare Bordaberry, io, e tutti gli attori perché le cose prendano la loro giusta misura. Manca ancora del tempo, ma non molto”. E con la Vita e la Storia si sovrappone anche la Scienza, per quella particolare angolatura 'quantistica' che sembra guidare la scrittura di Calderòn, che, guardando e scrivendo della realtà non la 'ricopia' mimeticamente ma la modifica in continuazione, come il famoso “gatto di Schrödinger”, e freneticamente per cercarne la sincerità. Un desiderio se vogliamo 'ingenuo', come detto, che ricorda il “realismo magico” di Bontempelli (anche nelle cadenze leggere e fin comiche che contraddistinguono la 'tragica' scrittura) capace di immaginare quello che esiste sotto la realtà dell'apparenza, ma che è anche ciò che quella realtà dell'apparenza determina dandole senso. È certamente una drammaturgia dolente e arrabbiata (come può non esserlo?) ma che si differenzia in maniera peculiare rispetto ai grandi arrabbiati del nord Europa, da Thomas Bernhard a Peter Handke e Elfriede Jelinek, che sprofondando nell'intimità psicologica sembravano e rischiavano di dimenticare, o mettere in secondo piano, lo scenario politico e sociale, il mondo insomma. In Calderon al contrario l'intimità della mente e del cuore, in cui rimbalzano da felicità a dolore i sentimenti tutti, è il luogo in cui, più che riverberarsi, cechovianamente accadono 'veramente' i fatti del mondo, e niente può essere più icastico di una famiglia dilaniata da quella, tristemente nota, Dittatura delle torture e dei desaparecidos, ma anche da una più universale incapacità di reciprocamente contaminare, e dunque amalgamare, quegli stessi sentimenti che la percorrono come una 'corrente alternata'. È lì che si nasconde infatti la vera macchina del tempo, straordinario meccanismo narrativo e disvelatorio che la fantascienza e la scienza hanno donato alla letteratura tutta, è nella nostra mente e nel nostro cuore che esiste l'unica e vera macchina del tempo, rivolta al passato con il ricordo e sbilanciata verso il futuro appunto con la sua 'immaginazione'. Da tutto ciò nasce questo straordinario, raro e anche 'sperimentale' (in molti sensi) impasto scenico di psicologico e politico, di intimo e di storico in cui le feroci dittature militari e fasciste, che insanguinarono al tramonto del '900 molti paesi del Sudamerica, sono raccontate dai sentimenti di una famiglia, mostrando così il lato 'ultrastorico', e forse per questo meglio comprensibile, consapevolizzante e condivisibile, di una vera e propria esplosione sanguinosa della Società, della Storia e della Politica. La regia di Emanuele Valenti ben coglie lo spirito complessivo della drammaturgia, nel suo gioco di portare fuori quello che sta dentro e nel suo conseguente movimento dal dietro al davanti, scegliendo una messa in scena per così dire 'prossemicamente' tutta 'a vista', dentro la quale si ritaglia 'in campo' il ruolo alteregoico di raissonneur (molto bontempelliano come si è detto) narratore di trame drammaturgiche tra reale e immaginario-immaginato. Domina il bianco (è pur sempre un esperimento) nella bella scenografia 'casalinga' che travolge ogni verismo, di Giuseppe Stellato, dentro la quale, assecondate dal bel disegno luci di Massimo Gallardini, sono del tutto a proprio agio i costumi di Daniela Salernitano. Gli attori infine, sono tutti, da quelli di più grande esperienza come Lello Serao, Daniela Piperno e Monica Demuru ai più giovani Lisa Imperatore, Christian Giroso e Marcello Manzella, di grande qualità recitativa e di adeguata esperienza scenica. Ciascuno è come impegnato a risolvere un enigma ma insieme ben amalgati sono a cercarne e trovarne la piena consapevolezza scenica, che meglio e talora con più spontaneità emerge proprio nelle torsioni comiche che si alternano con ritmo nella loro recitazione. Uno spettacolo complesso e stratificato che però offre numerosi, e non sempre o da tutti colto, spunti di riflessione, intima nei suoi aspetti psicologici ed esistenziali, e collettivi in quelli storici, sociali e anche politici, non ultimo quelli di una opposizione ad una dittatura cui l'oblio, il disimpegno e il disinteresse sono di grande giovamento alla sua capacità di metamorfosi, al suo continuo mutarsi rimanendo sempre se stessa. Anche una denunzia, perché no, di cui il teatro soprattutto oggi non deve rinunciare a farsi parte attiva, come ha encomiabilmente fatto questo ensemble napoletano che ce ne ha fatto un dono di cui lo ringraziamo, sperando che trovi una sempre più ampia risonanza nazionale e non solo. Il nostro lettore, se vorrà, potrà trovare il testo dello spettacolo nel volume di Luca Sossella Editore del 2019 “Teatro. Gabriel Calderòn” per la collana LineaExtra. La sala del Piccolo Bellini di Napoli era colma e anche commossa. Ha a lungo applaudito. Maria Dolores Pesce