di Ariane Mnouchkine
Festival di Avignone con il Théâtre du Soleil, dal 14 al 25 luglio 2007
Auschwitz, dramma in stile AltmanSeguendo, nel Festival di Avignone, le tracce del tema europeo non pensavo di soffermarmi più che tanto su Les éphémères di Ariane Mnouchkine (ieri premiata con il Leone d' oro alla carriera dalla Biennale di Venezia). Il suo penultimo spettacolo, Le dernier caravansérail, era il tentativo di un artista di continuare il suo discorso epico, o politico, rifugiandosi nella retorica, nei buoni sentimenti, nel cosiddetto impegno. Più intrinseco a quello che ho chiamato tema europeo era un dramma proposto da Guy Casiers, Mefisto for ever, che lo scrittore fiammingo Tom Lanoye ha tratto dal romanzo Mephisto di Klaus Mann. Perché «for ever»? In questo supplemento di titolo c' è il senso dello spettacolo di Lanoye-Casiers. Esso racconta la storia del grande attore tedesco Gustav Gründgens, ex marito di Erika Mann, asceso ai vertici dell' establishment nazista ma in sostanza devoto più all' arte (al teatro) che non alla politica e ai suoi rappresentanti. Per Lanoye-Casiers non è tanto l' occasione per un discorso sul collaborazionismo o sul disimpegno dell' artista, quanto sull' ambiguità del reale e degli umani comportamenti. In fondo, poco rimane dell' aspro, amaro, potente romanzo del figlio di Thomas Mann, il cui unico, non irrilevante problema è la rabbia del suo autore, che si riscontra ad ogni passo stilistico, per esempio nella troppo eloquente aggettivazione: «Lo disse con una semplicità solenne, che non concedeva alcun dubbio sull' inesorabile serietà delle sue parole». Ma un di più di problematico, fino alla compiacenza, aggiunge una prova che non migliora né il film né lo spettacolo che dal romanzo di Mann trassero Istvan Szabo o la stessa Mnouchkine. Al contrario, Les éphémères si rivelava il vero evento del Festival e, incidentalmente, anch' esso in tema (il tema europeo). In scena in un capannone, man mano che lo spettacolo si sviluppava era sempre più chiaro che tra i tanti - minimi, minimalisti, ai limiti dell' insignificante - prendeva corpo un episodio particolare, quello con cui si apriva lo spettacolo e con il quale Les éphémères si sarebbe chiuso: la storia di una donna che, costretta a vendere la casa della madre morta, scopre l' odissea dei nonni, deportati ad Auschwitz. Per buona parte del tempo, più di otto ore di spettacolo, Les éphémères sembrava una versione teatrale di America oggi di Altman, o, poiché meno drammatico, di On connaît la chanson di Alain Resnais. Un intraprendente agente immobiliare, una visita medica, un pignoramento, un infarto, la madre della sposa che si acconcia per la cerimonia, un transessuale e una bambina, un divorzio, una handicappata in riva al mare, un uomo in preda a una crisi di panico, un marito violento e ululante, un nonno e un bambino che inscenano una corrida, un incidente stradale, il terzo anniversario della morte di un figlio, una bambina vestita da angelo che si impiastriccia il viso di nero per non essere da meno della sua amica di colore. Ma tutti questi aneddoti, e fulminee scene di vita quotidiana, «effimera», in sé struggente, tra il terzo e il quarto tempo si intrecciavano tra loro, si sviluppavano e davano reciproca forza o, a mio parere, debolezza: se si vuole a tutti i costi raccontare una storia, non rinunciarvi, si va a finire sempre lì, nello stesso cattivo finale, a Auschwitz. La vera, geniale evoluzione/non-evoluzione dello spettacolo consisteva nelle piccole pedane circolari su cui correvano davanti ai nostri occhi gli episodi che ho rammentato. Erano tutti set piccolo-borghesi, salottini, tinelli, sale d' aspetto che, su quelle pedane, rivelavano dell' essere umano la natura specifica, precaria, instabile, ondeggiante, oscillante almeno quanto in salute, corroborante, solidale, fervida e, dunque, salutata da applausi interminabili era la compagnia diretta dalla Mnouchkine.
Franco Cordelli