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EDIPO - regia Nanni Garella

Edipo Edipo Regia Nanni Garella

dalla sceneggiatura di Edipo Re di Pier Paolo Pasolini
regia: Nanni Garella
con Silvia Giulia Mendola, Tamara Balducci, Nicola Berti e gli attori di Arte e Salute
Bologna, Arena del Sole, dal 27 marzo al 2 aprile 2008

Il Manifesto, 6 aprile 2008
Corriere della Sera, 6 aprile 2008

«Edipo», come un racconto dal film di Pasolini

Da diversi anni Nanni Garella conduce presso l'Arena del Sole un suo percorso teatrale, decisamente fuori dai condizionamenti di tournée e borderò, ma basato invece sull'uso di una teatralità diversa, con un gruppo di pazienti «psichiatrici» raccolti e curati nell'Associazione Arte e salute. In passato quel gruppo così eterogeneo e vitale si è misurato con Pirandello come con Pinter. Questa volta (le repliche sono terminate ma dovrebbero riprendere in autunno) la scommessa si moltiplica, perché il testo di riferimento non è di origine teatrale ma cinematografica. Infatti si tratta della sceneggiatura che Pasolini scrisse per il suo Edipo re, e dè da quel mitico film che nasce questo Edipo ricco e inquietante.
La grande sala dell'Arena del Sole si fa per intero palcoscenico, con gli spettatori sugli spalti come fossero a un processo o a una lezione di anatomia. L'intera platea (sull'esempio tracciato da Ronconi e da Castri) diviene un unico immenso palcoscenico di legno nero. È lì che si mostra il prologo tenero da cui nasce la maledizione divina e poi con pochi ma fulminanti segni scenografici (opera di Antonio Fiorentino) prendono letteralmente corpo reggie e periferie, di Corinto e di Tebe. Se il mito di Edipo, con complessi annessi, è diventato quasi un luogo comune della vulgata psicanalitica dell'ultimo secolo, qui quel mito ridiventa storia, una storia palpabile e coinvolgente, un bel racconto teatrale. Infatti gli attori (tranne pochissimi) non sono professionisti,ma hanno in dote esperienze di vita spesso dolorose, in ogni caso molto ricche. La loro condizione (non in senso «scandalistico» ma come ardente desiderio di gioco e di teatro) li fa immedesimare in maniera inusuale per lo spettatore dentro quell'antica vicenda. Che per altro Pasolini, a differenza di Sofocle, racconta in maniera analitica e progressiva, come una storia appunto. Quasi una saga familiare da raccontare e ascoltare nelle aie padane. Dove risuonano echi del Novecento di Bertolucci, ma anche lancinanti sospiri pasoliniani su un greto di fiume o in una borgata romana. Perché oltre ai corpi degli attori ci sonole voci, indimenticabili e penetranti. Voci dal forte accento padano che sprofondano il racconto nella natura carnale della campagna. Tanto che rispetto agli altri, il protagonista Edipo, colpevole e vittima di quel tragico incastrarsi di eventi, si differenzia prima ancora che per la prestanza, per diversità della lingua. Il suo accento fortemente meridionale si fa ricchezza di una diversità incolmabile, che lo mette fuori della legge come anche fuori da ogni umanità «normale». Un percorso coinvolgente, che da quegli scranni consente al pubblico di affacciarsi davvero su una interiore e perturbante anatomia
esistenziale.

Gianfranco Capitta

Va in scena il film di Pasolini

Nonostante Pasolini, Edipo di Nanni Garella è un bello spettacolo. Esso segna un culmine di bellezza, cioè di senso, nel lavoro che Garella da anni svolge nell' Arena del Sole con attori affetti da disturbi psichici. Garella sostiene esservi una sorta di paradossalità nel fatto che con attori simili si affronti proprio l' Edipo. Non solo: che lo si affronti al di fuori della lettura freudiana e, in genere, delle «incrostazioni della cultura borghese». La ragione per cui, affrontando l' Edipo, Garella non affronta Eschilo bensì Pasolini (la sceneggiatura del suo film del 1967) è che in Pasolini c' è, preliminarmente, l' idea della tragedia come idea mitologica e come idea di racconto pieno. Con Pasolini sappiamo come Edipo nasce, da dove viene; e, in un certo modo, sappiamo dove va (nell' indeterminato). Ma, obietto, a che prezzo otteniamo un racconto «completo»? Lo dice, tanto per cambiare, lo stesso Pasolini: «Ho lasciato scatenarsi liberamente la tragedia, ma con ambiguità da parte mia: l' estetismo e l' umorismo che vi hanno presieduto, sono autentici e vergognosi, perché sono quelli tipici dell' intellettuale borghese, ma, insieme, autentici e reali perché sono quelli di uno che racconta cose da cui ormai è lontano». Poco prima, spiegando il suo film, Pasolini aveva bellicosamente dichiarato: «Sono un borghese, anzi un piccolo borghese, una merda, convinto che la sua puzza sia non solo un profumo ma l' unico possibile profumo del mondo». Come non vedere in questo stracciarsi le vesti la sovrabbondanza di psicologia, l' arbitrio, la volontà di tutto a sé annettere, la generalizzazione e quindi l' ideologia dell' uomo che vuole abbattere le ideologie e parlare niente altro che in nome della verità - come la parabola del suo Edipo attesta (a proposito della ricerca di verità, tale ricerca è il risultato cui, secondo l' autore, il personaggio perviene). Per fortuna, Garella ha un passo più cauto, quindi più incisivo. Il testo, dalla sceneggiatura trapassato in film e dal film tornato a sceneggiatura, è ora predisposto per ancora una volta mutarsi, nella fattispecie in evento teatrale. Pur essendo a Pasolini fedele (è il suo, questo sì, paradossale merito), Garella lavora su tre elementi. Sullo spazio: l' Arena del Sole non ha più la platea; come continuazione, con tavole di legno, del palcoscenico, essa offre uno spazio amplissimo e, per la frequente oscurità, indeterminato. Sull' immagine: i personaggi appaiono disposti a occupare tale spazio secondo una modalità strategica, come nella Flagellazione di Piero della Francesca; ma, nello stesso tempo, costumi e luci ne fanno elementi di un immaginario tardo rinascimentale, se non manieristico. Sulle voci. Le voci dei non attori, semplici, rudi, dirette, attingono naturalmente, o ad essa alludono, alla sfera del primitivo, del pre-culturale - ove il mito risiede. Da tutto ciò scaturisce il senso della scelta di Garella. Se coerenza vi è nel testo di Pasolini - per il quale quell' Edipo ha un valore altrettanto congruo, o coerente, di autobiografia, di resa esistenziale, di liberazione dalla «merda» che egli si crede, o che vuole far credere che sia, al pari di ogni altro - altrettanta coerenza vi è nel lavoro con quello specifico «materiale umano», di cui Garella dispone con felicità assoluta. Con quei formidabili attori «ingenui», un Edipo eschileo, cioè freudiano, o borghese o quel che si vuole, davvero non avrebbe avuto che un mero senso pseudo-culturale, non già vitale, e (rammentando Artaud) perfino glorioso.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Martedì, 17 Settembre 2013 09:11

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